I tentacoli della ’ndranghetasi allungano sul Lodigiano

I tentacoli della ’ndrangheta e, sullo sfondo, anche uno scontro con personaggi ritenuti vicini alla camorra dietro i fatti della cava di Boffalora d’Adda. Questo emerge all’operazione Redux-Caposaldo della Dda di Milano, con 35 arresti eseguiti lunedì, assieme ad alcuni episodi di scarico incontrollato di terre da scavo contaminate nei campi di Spino d’Adda e di Pandino.

Dopo l’incendio di due escavatori nell’agosto del 2009 e, prima ancora, di un Caterpillar nell’impianto boffalorese gestito dalla società Gmo di Madignano, l’Antimafia ha scoperto infatti che la cava stessa era stata teatro di un pestaggio, il 9 luglio del 2009, ai danni di uno dei dipendenti della Gmo, C.D., all’epoca 25 anni, di Pianengo. Secondo la Dda gli autori dell’aggressione “a calci e pugni”, che la vittima aveva denunciato ai carabinieri di Lodi “evitando di fare i nomi perché fortemente timoroso della propria incolumità” erano G. R., classe 1964, di Reggio Calabria, domiciliato ad Agrate Brianza, uno dei protagonisti dell’ordinanza, e suo nipote F. G., classe ’75, di Africo (RC), accusati anche per questo episodio di estorsione e rapina in concorso “avvalendosi della forza di intimidazione derivante dall’appartenenza alla ’ndrangheta”.

Mentre non risultano finora identificati gli autori materiali degli incendi di escavatori né la Dda inquadra con chiarezza gli episodi in questo spaccato della presenza mafiosa in Lombardia, il quadro in cui avvenne il pestaggio alla cava, secondo il gip milanese Giuseppe Gennari, è estremamente chiaro: “Farsi consegnare da G. N. (imprenditore cremasco, tra i soci della Gmo) la somma di circa 150mila euro in cambiali a pagamento di un preteso credito vantato da Alma Autotrasporti Srl nei confronti di Mara Scavi Srl”. Anche lo stesso G. N. aveva subito un’aggressione fisica, e, sempre secondo la Dda, nella vicenda erano stati “fatti intervenire esponenti della famiglia Flachi, in particolare G. T., S. M. e F. P., alias “Ciccio” nei confronti dei fratelli La Porta a causa delle cui iniziative l’imprenditore N. non riusciva a pagare”.

N. era stato anche bersagliato da un presunto affiliato alla ’ndrangheta di messaggi sms del tipo “una di queste sere ti raggiungo a casa” ma anche “mi puoi anche denunciare ma io sono onesto e lo dimostrerò”.

Per comprendere la vicenda, la Dda spiega che la Alma Autotrasporti, con sede legale ad Agrate presso lo studio del commercialista G. S., è ritenuta di fatto appartenente a G. R., pregiudicato, ed era stata sorpresa tra l’altro a scaricare terre contaminate (materiale di risulta di un altro cantiere) in una fondazione della Tav in via Belgioioso a Milano, nel 2008.

La Alma avrebbe collaborato con le due società cremasche e da qui sarebbe nato il presunto debito dell’imprenditore lombardo verso il calabrese. Meglio, secondo la Dda, G. N. “ha rappresentato un punto di riferimento per G. R. infatti, grazie a questi, l’Alma ha avuto la possibilità di introdursi nei vari appalti già indicati, essendo ad essa affidati i trasporti”. G. N. viene indicato dagli inquirenti come uno degli imprenditori lombardi che “si offrono inizialmente ai calabresi non per soggezione, ma per convenienza”.

“Purtroppo - prosegue la Dda - N. non riesce proprio a pagare e la faccenda si complica per l’intervento dei campani La Porta, personaggi forse in odore di camorra (lo dicono gli stessi G. R. e F. G. in una conversazione del 20 aprile 2009). La vicenda è di eccezionale interesse perché vede l’intervento anche dei Flachi i quali, in pura dialettica mafiosa, intervengono per sbloccare la situazione La Porta/N. Cosa avessero fatto i La Porta per danneggiare le imprese Gmo e Mara Scavi l’ordinanza però non lo rivela. I viaggi con il camion di G. R. e della “sua” ditta Alma portano però anche a Spino d’Adda, dove il 3 agosto del 2009 i carabinieri e l’Arpa sequestrano alcuni terreni in via Madonna del Bosco, di proprietà di R. F. G., all’epoca 37 anni, appurando “irregolarità relative all’attività di scarico di terra prelevata dai cantieri”. Con i militari sul posto, l’agricoltore 37enne telefona a F. G. e gli dice «tu mi blocchi tutti i camion, non far scendere nessuno, c’è il Noe di Brescia». Un’ora e mezza dopo è il calabrese a telefonare all’agricoltore cremasco promettendogli di inviargli le proprie analisi sui terreni scaricati e nel pomeriggio lo richiama e gli propone “di aprire una società per continuare a svolgere questo tipo di attività”. Ma non è finita: “nel corso del servizio predisposto unitamente ai carabinieri del Noe si appurava che alcuni camion provenienti da un cantiere edile comunale per la costruzione di un Centro di aggregazione giovanile a Basiano scaricavano all’interno di un terreno incolto sulla Sp 90 in località Pandino. In detta circostanza un camion rimane impantanato nel terreno” quindi F. G., intercettato, “dice che sul posto si è già recato un geometra, il quale si era rifiutato di mandare qualsiasi mezzo, in quanto il camion aveva appena effettuato uno scarico abusivo e che quindi temeva un possibile controllo da parte delle forze di polizia”.

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