I giovani ospitati a San Zenone:

«Là ci costringevano a sparare»

«Noi, in fuga dalle bombe di Tripoli». Parlano i 28 profughi arrivati mercoledì sera a San Zenone. Dall’altro giorno, infatti, i giovani stranieri alloggiano all’hotel Ambra sulla via Emilia, dove dovrebbero trattenersi sino ai primi giorni della prossima settimana. Ciascuno di loro ha una storia diversa, tutti però hanno vissuto il dramma della Libia. A partire dal 42enne libico Salim, che viveva a Zuara a circa 60 chilometri dal confine con la Tunisia. «Ho ancora negli occhi le bombe che scoppiavano a pochi metri da casa mia - racconta Salim in inglese -. Ecco perché sono fuggito in Italia, mentre mia moglie con i nostri tre figli sono scappati nella vicina Tunisia. Spero con tutto il cuore di rivederli presto», conclude non senza un pizzico di commozione. Nella capitale Tripoli, invece, il 33enne nigeriano Samuel faceva il muratore. «I seguaci di Gheddafi ci mettevano in mano le pistole costringendoci a sparare ai ribelli - ricorda -. E, se non lo facevamo, erano loro a sparare a noi». Ecco perché il 25enne nigeriano Peter Ekhator è ferito ad una mano. Tra i più giovani ci sono anche i 25enni Mamodon e Muhammed, il primo della Guinea e il secondo della Sierra Leone, che si sono conosciuti a Lampedusa, dove sono sbarcati dopo un lungo viaggio in mare. E da allora sono diventati grandi amici. «Siamo arrivati a Milano tre giorni fa - affermano i due giovani africani -. L’Italia? É un bel Paese che ti offre tante opportunità. Rimanerci? In questo momento chiediamo soprattutto di essere protetti». E poi ci sono il 20enne Seko del Mali, il 33enne Samuel, il 31enne Matthew e il 24enne Godwin, tutti e tre della Nigeria. Ma in questi giorni a San Zenone alloggiano anche giovani del Congo e della Costa d’Avorio. «Comprendersi non è certo semplice, ma i ragazzi sono gentili e disponibili - racconta una delle responsabili dell’hotel Ambra -. Stamattina (ieri, ndr) ci hanno anche aiutato a rifare le camere. Li abbiamo sistemati in stanze da tre, si sono subito adattati senza alcun tipo di problema. Quanto ai cibi, invece, non mangiano la carne di maiale e amano i condimenti piccanti. Li aspettavamo già martedì sera, ma poi il loro arrivo è stato posticipato, quando erano accompagnati dagli uomini della Protezione civile». I giovani profughi, intanto, continuano a parlare fitto tra loro. Uniti da un destino comune, sono diventati tutti amici ormai.

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