Gipponi: «Per questa città spenta la soluzione giusta è il polo culturale all’ex Linificio»

LA LODI DEL FUTURO L’intervista di questa settimana vede protagonista il noto critico d’arte

Matteo Brunello

«Un’indomita fiamma in me s’alberga». Riecheggiano ancora i versi di Ada Negri nelle parole di Tino Gipponi, curatore degli atti del convegno sulla scrittrice poeta lodigiana che in questi giorni saranno pubblicati. Ed è proprio a partire dal «canto ardito e strano» di “Dinìn”, a 150 anni dalla sua nascita, che il noto critico d’arte chiede a Lodi di trovare un ritmo nuovo.

Che giudizio dà sulle mostre organizzate in città?

«In generale stiamo lasciando spazio negli ultimi 20 anni a mostre con poco senso e significato, che per errore vengono chiamati eventi. Ma gli eventi sono rari, bisognerebbe numerarli. Invece qui siamo nel languore più acuto. Vanno di moda le mostre “pinzimonio”, dove si mette dentro un po’ di tutto. Questo con poche eccezioni. Io credo che non sia necessario organizzare tante cose, ma farle belle. E poi c’è un altro fraintendimento di fondo che andrebbe chiarito: l’arte non vuol dire pensare che sia bello tutto ciò che piace, perché così si manda all’inferno il concetto di valore artistico, che è fondato sul principio distintivo del giudizio dell’arte».

Ma c’è qualcosa da salvare?

«Ci sono senza dubbio delle mostre che vanno apprezzate, di più ampio respiro: penso alle personali dedicate a Franco Francese, Alfredo Chighine, Angelo Monico, Mario Tozzi, Attilio Rossi e alle importanti antologie di grafica d’arte riguardanti Braque e Picasso, il grande Giuseppe Viviani, Gianfranco Ferroni e da Durer a Rembrandt, negli spazi del salone dei Notai, a Bipielle center e nell’atrio della Banca Centropadana. Ha senza dubbio un valore anche il festival della fotografia etica, che da anni si svolge in città. Un autentico evento fu poi quella dei Piazza da Lodi nel 1989: un viaggio in tre generazioni da Martino e Alberto, a Scipione e Cesare, Callisto e figli, con un risultato di 38mila paganti».

Lodi non ha un museo da diversi anni e ora lo vogliono fare all’ex Linificio, è d’accordo?

«Qui occorre una premessa: da assessore alla cultura agli inizi degli anni 90’ (giunta Montani), feci deliberare il progetto di trasferimento dell’ex museo civico alla Cavallerizza, ma poi sorsero una serie di problemi. Mentre per quanto riguarda l’ex Linificio, durante l’amministrazione Guerini e con fondi dell’allora Banca popolare di Lodi, si pensò di realizzare un museo del viaggio, che considerai subito una scelta sbagliatissima, infatti fu accantonata. Pensare ora di realizzare un polo culturale all’ex Linificio - con museo civico, archivio storico, museo della stampa e sale per le mostre – è un’iniziativa che condivido pienamente. Sarebbe la soluzione giusta per questa Lodi spenta e a tratti morta dal punto di vista culturale».

La cattedrale vegetale di Giuliano Mauri, secondo lei, poteva ridarci un po’ di slancio?

«Non ho mai condiviso quell’opera per cui si è festeggiato. Perché, con quella che si chiama Naturarte, i legni piantati dovevano servire da imbracatura, per poi essere tolti in modo da far crescere la pianticella che era stata messa nel terreno. Ma poi con il vento è crollato tutto. In più non credo sia corretto parlare di opera di Mauri, visto che l’artista era già morto da nove anni».

La cattedrale vegetale non c’è più. Ma la Lodi murata nel 2021 diventerà realtà. Lodi ci deve scommettere?

«Quella è storia, i cunicoli sotto il torrione sono il sottotraccia di cos’era Lodi. E se ben riqualificati e messi in sicurezza rappresentano una bella occasione per il capoluogo. Quando li visitai non erano proprio a norma, ma ora con il contributo statale e i lavori in corso possono rivivere. Mi permetto di dire che c’è un’altra realtà da valorizzare: il museo della stampa, di cui sono presidente. Sono cinquecento anni di stampa tipografica, dai caratteri mobili fino al killer computer che ha mandato in soffitta tutto».

L’incoronata è il nostro “scrigno d’oro”. Per finanziare i restauri metterebbe un ticket all’ingresso per i turisti?

«Non sono contrario in linea di principio. Ormai è stato introdotto anche da altre chiese (a Venezia, a Firenze) per rispondere ad un turismo artistico di massa, che io a dir la verità non amo perché per egoismo artistico preferisco gustare nel silenzio le opere. Il tempio civico dell’Incoronata è il nostro tesoro per eccellenza. Il biglietto a pagamento si potrebbe fare, ma ricordiamo che il flusso dei visitatori non è così ampio all’Incoronata, quindi forse i finanziamenti per i restauri andrebbero cercati altrove e i canali ci sono».

Allargando il discorso sugli altri ambiti della città, secondo lei Lodi avrebbe bisogno di maggiore cura?

«Manti stradali da sistemare ce ne sono, ma questo dipende da una trascuratezza e un galleggiamento che arrivano da lontano. Ho visto però con piacere che è stata realizzata finalmente un’utile pista ciclabile in viale Rimembranze. Prima non c’era e lì avevano investito e ucciso il mio caro amico Bruno Apicella, ex presidente del Tribunale di Lodi. Un altro marciapiede largo è stato fatto in via San Colombano al sottopasso. Questa è una bella cosa, che ho potuto notare anche nella fase difficile che stiamo attraversando a causa del Covid».

Come sta vivendo queste nuove restrizioni sanitarie imposte da governo e regioni?

«Sono otto mesi che vivo perlopiù chiuso in casa, con i miei libri e le mie passioni. Temo che con la crescita esponenziale dei contagi la stretta diventi presto sempre più stringente. Ed è giusto che sia così per evitare la trasmissione di questo virus. Ora, io non ho uno sguardo predittivo sul futuro, vado verso gli 85 anni e sono piuttosto malandato. L’augurio che faccio è di fare largo alle forze dei giovani».

Il maestro Muti ha lanciato un appello per evitare la chiusura dei luoghi della cultura, perché ritiene che l’impoverimento dello spirito farebbe male anche alla salute del corpo. Secondo lei ha ragione?

«Già abbiamo patito molto la chiusura delle scuole, che sono il fondamento per costruire il nostro futuro, scuole che sono la base della crescita dei nostri ragazzi. La cultura invece è il pane per i giovani e per i più anziani, è una ricompensa dagli aspetti della vita quotidiana. Queste chiusure forzate a me personalmente impediranno di presentare gli atti del convegno di Ada Negri, il testo che proprio in questi giorni ho finito di rivedere e che sarà pubblicato in novembre. Ritengo che i blocchi siano giusti per frenare l’onda dei contagi, ma tutto questo ha ovviamente pesanti conseguenze. L’aver chiuso cinema e teatri mette in crisi tante persone, che in queste attività lavorano. Si crea così un Covid economico ed anche culturale. Da una parte le persone vanno in difficoltà perché faticano ad arrivare a fine mese, d’altra lo stop a mostre e convegni lascia il segno, perché la cultura favorisce la crescita civile delle persone. Ed è ormai assodato da decenni: la cultura può fare a meno della politica, ma la politica non può fare a meno della cultura».

© RIPRODUZIONE RISERVATA