«Giovanni faceva tutto per gli altri,lo hanno lasciato morire da solo»

«Nel momento del bisogno l’hanno lasciato solo come un cane». Nicoletta Caravaggio, ex moglie del carabiniere ammazzato a colpi di pistola, si sfoga. «Giovanni è sempre stato disponibile con tutti, giorno e notte. Lui, per gli altri, c’era in ogni momento. Quando ha avuto bisogno lui, invece, l’hanno lasciato morire solo come un cane». Oggi in cielo splende un sole caldo, inaspettato dopo la pioggia scesa sabato sul corpo di Sali, schiacciato a terra con un colpo di pistola. Eppure, è come se le nuvole fossero ancora lì, buie e rancorose. La figlia parla con le amiche fuori dalla porta di casa, al 9 di via Arialdo, la faccia pallida e il corpo rannicchiato su di sè. La moglie scuote il capo: «Non c’è nulla da dire», dice. Una cosa così, in una città come Lodi, non se la aspettava nessuno. Accarezza la testa del cane accovacciato sullo schienale del divano. Un’amica si avvicina. «L’hanno ammazzato come un topo, l’hanno ammazzato», singhiozza la donna. È appena tornata da Pavia dove hanno fatto l’autopsia sulla salma di Sali. «Tutti in queste ore - dice la moglie - hanno parlato bene di lui». Gli amici erano tanti. Parole di grande stima arrivano dalle amiche Anna Carnevali e Pia Zirpolo scosse per la vicenda. Sali si era separato, ma aveva mantenuto ottimi rapporti con la sua famiglia e il dolore di queste ore è una prova dei legami affettivi esistenti. Viveva al 10 di via Santuario, nella casa di Claudio e Andrea Maietti. «Me lo ricordo ancora - racconta quest’ultimo -. Ho sempre sentito in modo molto forte la presenza di mio padre in quella casa. Quando mi ha chiesto se poteva prenderla in affitto, mi è bastato guardarlo in faccia. Mi è subito risultata una bella persona. “Sa - mi ha detto poi -, sono andato a caccia con suo papà”. Non ho avuto dubbi: “Lei paghi le spese, si prenda cura della casa e siamo a posto così”. Era stato mio fratello a presentarmelo. “Guarda - mi aveva detto -, c’è un carabiniere che vorrebbe venire in affitto, l’è propi brau”. Ci abbiamo messo due minuti ad accordarci. Prima di allora non avevo mai voluto affidare quella casa a nessuno. C’era una veranda con i miei libri e gli oggetti di papà e con Giovanni sapevo che sarebbero stati al sicuro. Con lui era come se il legame affettivo con mio papà non venisse negato. Andava a caccia anche con Claudio. Prendevano i cinghiali, su per l’Appennino pavese, verso Montalto. Era uno di quelli che intendevano la caccia all’antica, non “pum pum” ed è finita, ma scarpinare su per i sentieri, appostarsi e aspettare la preda sbucare dal folto».

Lui e Andrea Maietti s’incontravano ogni tanto anche in piazza, a Lodi, prendevano un caffè insieme e parlavano di calcio. 

«Aveva una faccia positiva e franca - dice lo scrittore -, sempre molto attenta, con una capacità immediata di mettersi in sintonia con la gente. Ha ragione Oliviero (don Ferrari, ndr) quando in chiesa all’Olmo, domenica, ha detto che Giovanni ha regalato a tutti la sua bonarietà e la capacità di dialogare con la gente. Io non l’ho mai visto arrabbiato con nessuno».

Cristina Vercellone

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