Frecciarossa deragliato, gli operai Rfi si difendono: «Un guasto che non si poteva spiegare»

Due manutentori e il loro istruttore rischiano tre anni e più di condanna ciascuno

«Quel tipo di guasto in un componente nuovo non si era mai verificato e non c’era una procedura codificata per affrontarlo»: di questo tenore le difese del formatore 46enne piacentino e dei due operai, uno specialista di cantiere di 34 anni e uno specializzato di 41, imputati per disastro ferroviario, duplice omicidio e lesioni gravi plurime, colposi, per il deragliamento del Frecciarossa Milano - Salerno sullo scambio 5 del “posto movimento Livraga”, al confine con Ospedaletto, alle 5.30 del mattino del 6 febbraio 2020. I due operai facevano parte della squadra che aveva sostituito, per manutenzione programmata, gli attuatori dello scambio 5, il formatore li aveva istruiti nel 2018 e nel 2019 per quel tipo di operazione. Secondo i consulenti della Procura, tesi finora incontestata, uno degli attuatori di produzione Alstom Ferroviaria che avevano installato su quello scambio si muoveva al contrario rispetto ai comandi ricevuti ma sui quadri elettrici di controllo l’anomalia veniva rilevata per la posizione di dritto e non per quella di deviata. A causa di una coppia di fili avvitata nei morsetti sbagliati in un cablaggio interno, non visibile. Trattandosi di un componente venduto da Alstom a Rfi sigillato e collaudato, gli operai, accortisi nelle prove che dalla Direzione centrale operativa di Bologna mancava il “controllo” dello scambio 5, avevano lavorato febbrilmente alla ricerca di problemi nelle schede o in qualche relè del “posto movimento”, quindi, mentre si avvicinavano le 5 del mattino, orario limite per riaprire la linea Alta Velocità, avevano preso la decisione di attuare la “fermoscambiatura elettrica”, cioè di togliere corrente allo scambio 5 e di segnalare con un fonogramma che non lo si sarebbe potuto più muovere prima di un successivo intervento tecnico per capire il problema. Fatalmente, lo scambio fu fermato con uno dei suoi componenti in posizione deviata, verso il fascio di binari morti, e nessuno uscì dalla cabina dei quadri elettrici per tornare fino allo scambio, a 700 metri di distanza, per verificare manualmente l’effettiva posizione. Nel deragliamento a 298 chilometri orari persero la vita i macchinisti Mario Dicuonzo, 59 anni e Giuseppe Cicciù, 51. Il pm Domenico Chiaro aveva chiesto per i tre tecnici di Rfi pene dai 3 ai 3 anni e mezzo di reclusione. Verdetto atteso per luglio. Dopo Pasqua riprenderanno le udienze del filone principale che vede invece imputati dirigenti di Alstom Ferroviaria e di Rfi che avevano “posizioni di garanzia” quando si era verificato l’incidente.

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