Ex Polenghi, stabilimento “bloccato”

Grande adesione allo sciopero indetto contro i licenziamenti

Tutti fuori dai cancelli. E per giunta dalle 3 del mattino. Ieri mattina i lavoratori dell’ex Polenghi si sono dati appuntamento davanti allo stabilimento di San Grato per il maxi sciopero di otto ore. Un primo tentativo per convincere la proprietà a ritirare i 38 esuberi su 89 previsti per il sito di Lodi, 234 su circa 800 in tutto lo Stivale. Ecco perché manifestazioni e picchetti si sono tenuti anche negli altri siti produttivi dislocati sul territorio nazionale.

A causa del presidio, il viavai dei furgoncini in arrivo per le consegne hanno subito un rallentamento ma non si sono verificati grossi problemi. La protesta è avvenuta sotto la “supervisione” dei carabinieri, guidati dal maresciallo Saverio Napolitano.

Stretti nelle felpe e nei giubbotti a causa del freddo e della nebbia, i dipendenti che tutti i giorni “sfornano” mozzarella, mascarpone, ricotta e scamorza cercano di tenere a freno il pessimismo: «Non vorremmo essere passati dalla padella (Cragnotti) alla brace (Tanzi, naturalmente) - dicono -, per poi essere trasformati definitivamente in cenere». La preoccupazione è evidente sulle facce di coloro che hanno una famiglia, non sono poi molti coloro che potrebbero agganciarsi eventualmente alla pensione, «senza contare che una “scrematura” della forza lavoro c’è già stata in passato».

I dipendenti ne hanno passate di tutti i colori. «Questa è l’ennesima mazzata - racconta chi ha trascorso 35 anni di vita nel polo di San Grato -. Abbiamo visto di tutto, ora siamo ridotti al lumicino. Questa è la fine, entreremo anche noi a far parte della lista dei disperati che ci sono in giro per l’Italia». Sono in tanti a ricordarsi i tempi d’oro della Polenghi: «Negli anni Ottanta eravamo quasi in cinquecento a lavorare qui - ricorda un gruppo di lavoratori -, 1.250 se si conta anche il personale degli uffici di Milano. Si facevano burro, latte, latte per bambini, succhi di frutta, il Nesquik per la Nestlè. Quando abbiamo iniziato a lavorare per la Polenghi tutti ci dicevano “sei in una botte di ferro”. E invece...».

Parmalat, acquisita dalla francese Lactalis, dall’anno prossimo non rinnoverà più il contratto con Newlat, mettendo fine alla fornitura dei prodotti, una commessa considerata molto importante dai vertici. È questa una delle cause citate dal gigante del latte per giustificare la razionalizzazione. «Eppure - precisano alcuni addetti - soprattutto mozzarella e mascarpone sono legate a Parmalat. Il lavoro c’è, una razionalizzazione dei costi è già stata effettuata e i volumi di produzione sono passati dalle 4 alle 6 tonnellate all’anno. Gli investimenti promessi? Ormai non ci crede più nessuno».

Nella mischia c’è anche Paolo Zanetti, segretario della Flai Cgil: «Non si può passare come un carro armato sulla questione - dichiara -, presentare i licenziamenti come un fatto compiuto ha generato rabbia, anche perché questi lavoratori da ormai 4 anni si sottopongono a flessibilità e orari di lavoro che non ci sono in altre aziende. I problemi ci possono essere ma si discutono. Ci aspettiamo un passo indietro, restiamo perplessi sul fatto che si possa attuare una simile riduzione di personale a Lodi». Sul posto ci sono anche Alessandro Cerioli della Fai Cisl, il segretario della Uila Domenico Ossino insieme al segretario provinciale Santo Bolognesi. «È importante far sapere alla città che cosa succede - dice Ossino -, noi ci opponiamo alle decisioni unilateriali senza discussione. A settembre avremmo dovuto firmare un contratto triennale, dopo aver siglato a luglio l’integrativo, e invece ci siamo ritrovati con questa doccia fredda. È uno stabilimento storico, cerchiamo di difenderlo».

Le parti sociali hanno già chiesto l’intervento dei ministeri competenti per scongiurare i licenziamenti, nel frattempo oggi una delegazione incontrerà il sindaco di Lodi Lorenzo Guerini e il presidente della Provincia Pietro Foroni.

«Con tutto quello che è successo - sottolineano i lavoratori guardando verso lo stabilimento di San Grato -, il miracolo è che siamo ancora qui».

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