Due lodigiani nell’inferno turco

Paolo Cancellato raggiunto ieri tramite Skype:

«I media locali stanno censurando gli scontri,

il governo ha vietato i baci per strada e l’alcol»

«Quando finirà? Difficile dirlo, perché la protesta ormai ha coinvolto oltre un milione di persone e il rischio è quello di uno scontro fra i manifestanti e i fedelissimi del premier Erdogan». Paolo Cancellato, 30 anni (figlio dell’ex sindaco di Lodi) è sposato con una ragazza turca e lavora a Istanbul per una società di consulenza (Material ConneXion). L’appuntamento via Skype è per le 15: Cancellato è puntuale e accetta di raccontare per «il Cittadino» quello che sta avvenendo in queste ore nelle strade e nelle piazze della capitale turca.

Partiamo da piazza Taksim, il cuore della protesta, ormai diventata una polveriera. Com’è la situazione?

«Non sono ancora passato, ci andrò stasera (ieri per chi legge, ndr), insieme a mia moglie, al rientro dalla Cina. Noi viviamo nella parte asiatica di Istanbul, dove l’eco della protesta è rarefatto. Ma io lavoro nel quartiere di Besiktas, dove in questi giorni si sono registrati gli scontri più violenti perché ci sono gli uffici del primo ministro».

La scintilla è stata la protesta contro la costruzione di un centro commerciale. La sensazione è che le ragioni della mobilitazione siano però molto più profonde…

«Nelle ultime settimane sono state varate leggi che hanno scosso l’opinione pubblica. Una dispone il divieto di vendere alcolici dopo le 22 e introduce una distanza minima di 150 metri dalle moschee. Per una città come Istanbul, piena di moschee, significa confinare la vendita di alcolici in pochissimi punti. Un’altra legge riguarda la possibilità di baciarsi in pubblico. Sono solo due esempi, ma rappresentano la punta dell’iceberg».

In piazza è scesa la Turchia laica?

«Non solo. Per strada sono scese anche molte persone di fede musulmana che si oppongono all’abuso della forza e alle politiche del governo. Protestano per l’islamizzazione forzata e per la censura delle libertà fondamentali».

I media degli altri paesi europei mostrano scene di violenza da parte della polizia turca. Stanno davvero usando il pugno di ferro?

«I primi giorni la polizia ha addirittura usato un tipo di gas bandito perché dannoso alla salute. Nel mirino finiscono anche persone indifese. Una mia collega ha prestato servizio in ospedale e mi ha raccontato di civili coinvolti negli scontri e conciati male».

È vero che in Turchia le televisioni stanno censurando tutto?

«La situazione è ridicola. Fino a ieri (lunedì per chi legge, ndr) solo un canale privato, Halk Tv, trasmetteva 24 ore su 24 le notizie di quanto sta avvenendo a Istanbul e nelle altre città. Tutti gli altri canali non davano informazioni. Sabato sera Cnn Turk, l’emittente che dovrebbe fornire il maggior numero di notizie, ha addirittura trasmesso un documentario sui pinguini e questa scelta ha scatenato l’ironia di molti».

Quanto pesano i social network?

«Passa tutto da lì, in particolare da Twitter. Si formano gruppi che variano da 50 a 200 persone e attraverso un semplice tweet i manifestanti comunicano le posizioni, i luoghi a rischio, gli ospedali dove portare i feriti e i punti dove trovare cibo e aiuto. Non a caso nei giorni scorsi Erdogan ha minacciato di imbrigliare i social network. Si era anche diffusa la voce che il principale operatore turco delle telecomunicazioni avesse ricevuto pressioni dal governo per ridurre la libertà di accesso a Internet, ma questo onestamente non si è verificato».

Quando rientrerà la protesta?

«È la domanda che si pongono tutti. Il premier ha definito i manifestanti “raccoglitori di immondizia”, dicendo che si tratta solo di qualche migliaio di persone. In realtà la protesta ha coinvolto oltre un milione di turchi e non sembra destinata a rientrare presto. Il vice di Erdogan ha però dichiarato che il governo dovrebbe ascoltare le ragioni dei manifestanti e dunque queste parole potrebbero aprire una crepa nell’esecutivo. È quello che tutti sperano, per evitare che gli scontri di piazza si trasformino in un conflitto tra fazioni contrapposte».

Paolo Cancellato non è l’unico italiano che si trova in questi giorni in Turchia. A Istanbul lavora anche la santangiolina Maria Luisa Scolari, funzionario dell’Istituto italiano di cultura, l’ufficio culturale del ministero degli Esteri.

Raggiunta ieri mattina tramite Facebook, Scolari ha confermato in via informale la situazione di tensione che si vive, soprattutto la sera, in alcuni quartieri della capitale turca. Ma in quanto “funzionario pubblico con passaporto diplomatico” ha preferito non rilasciare dichiarazioni ufficiali.

Lorenzo Rinaldi

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