«Così abbiamo incastrato il mostro di Lodi»

La squadra mobile di Lodi racconta in tribunale come è stato risolto nel giro di poche ore il caso del “mostro di Lodi”, l’uomo che aveva strangolato una 18enne abbandonandola in un campo a San Martino in Strada il 7 settembre del 2013. E dal processo in corso a Busto Arsizio emerge anche la conferma di un altro indagato nella terribile vicenda di Lavinia Simona Aiolaiei, questo il nome della vittima, romena. È un ragazzo suo connazionale con il quale la giovanissima “escort” aveva scambiato gli ultimi sms prima di trovare la morte in un motel di Olgiate Olona. Lui, ritengono gli inquirenti, sapeva che la giovane si prostituiva, e che guadagnava parecchio. Da qui il deferimento all’autorità giudiziaria di Milano perché si accerti se favoriva o sfruttava la prostituzione. Dai messaggi che Lavinia aveva scritto quella sera al suo fidanzatino gli investigatori desumono che le avesse raccomandato di tenersi buono Andrea Pizzocolo, il presunto omicida, come cliente, ma anche di stare attenta: «Niente droghe, niente alcol». E lei gli avrebbe risposto: «Non ti preoccupare tesoro». Ma poi, Lavinia sarebbe riuscita a comunicargli che aveva «preso qualcosa» che non la faceva stare bene. Bevuta una Coca Cola, che risulta acquistata nel Motel, avrebbe avuto dolori di stomaco. Dall’autopsia era emersa l’assunzione di in tranquillante (di cui lei però sembra non facesse uso), nelle disponibilità di Pizzocolo c’erano farmaci simili e anche «droghe dello stupro». Pochi minuti dopo questo malessere, la 18enne si sarebbe ritrovata con due fascette da elettricista strette al collo, con una forza tale da ridurne il diametro di alcuni centimetri.

Questa rivelazione, assieme a tanti altri particolari anche tristemente macabri, dalla prima udienza con testimoni del processo (per omicidio volontario aggravato, atti osceni su cadavere, sequestro di persona e rapina) che si è tenuta ieri innanzi alla corte d’assise di Busto Arsizio. Testimone principale, il dirigente della squadra mobile della questura di Lodi Alessandro Battista, che già alle 24 dello stesso sabato era a casa di Pizzocolo, ad Arese, per accertare se fosse l’assassino. «Sul divano del salotto c’era un pacco di fascette», ha ricordato tra l’altro il commissario capo.

Prima di avviare l’audizione dei testimoni, la corte presieduta da Renata Peragallo ha dovuto vagliare anche la richiesta del difensore di Pizzocolo di far sequestrare il video trasmesso in minima parte da «Chi l’ha visto?» (realizzato dal presunto omicida) che immortala gli atroci fatti al centro del processo, e di ricusare la corte perché la conduttrice avrebbe fatto, nell’ultima puntata, una «inammissibile anticipazione del verdetto». «Una trasmissione, che peraltro fa servizio pubblico, non può influenzare la corte», ha replicato il pm Raffaella Zappattini. «Far conoscere questi fatti è anche utile perché non si ripetano», ha aggiunto l’avvocato Tiziana Bertoli di Lodi, parte civile per mamma e fratellino di Lavinia. La corte ha deciso di non visionare in aula i filmati, che sono stati però acquisiti come prova, e ha ammesso le riprese Rai in aula.

LE PRIME INDAGINI

Primo testimone, l’assistente capo Simona Pozzini, che era sulla prima volante intervenuta dopo che un sanmartinese, passando a Sesto Pergola dopo aver fatto la spesa, aveva notato nel campo «un corpo forse di donna, forse un manichino». «La vittima era di corporatura esile - ha ricordato l’agente -, supina, con una piccola salviettina sul lato destro del viso». Il trucco e le unghie ben curate avevano subito indirizzato la Mobile verso la prostituzione. Sulla salviettina, «unica traccia utile», il nome della tessitura che l’aveva prodotta. La stessa che riforniva un vicino Motel di San Martino in Strada.

Qui, tra i 70 clienti della notte precedente, verso le 5 era arrivato anche Pizzocolo, l’unico (all’apparenza) da solo, che aveva consegnato la propria carta d’identità, sostenendo che presto l’avrebbe raggiunto un’altra persona. Mai arrivata. «L’accettazione è simile a un casello autostradale - ha spiegato Battista - facilmente l’addetto del motel non vede se ci sono altre persone in auto. Inoltre, l’accesso alle camere avviene attraverso l’adiacente box con telecomando». Secondo l’accusa Lavinia era morta a Busto e Pizzocolo ne aveva portato il cadavere fino a San Martino nel bagagliaio, fermandosi anche a San Zenone Ovest a mangiare un panino nel cuore della notte.

Quindi, arrivato nel motel lodigiano, aveva nuovamente montato le sue microtelecamere, anche con del nastro biadesivo, e aveva seviziato la salma. Parlandole: «Ti piace giocare?».

Sull’autostrada, si era liberato in un cassonetto di tutti gli effetti personali di Lavinia: abiti, borsetta, telefonini, ritrovati dalla polizia stradale già lo stesso sabato notte. Individuata la camera, Battista l’aveva fatta aprire: «Non era stata ancora pulita, c’erano una salviettina sporca di sangue in terra e capelli biondi, come quelli della vittima. Poi ci ha lavorato parecchio la Scientifica». Trovati questi primi riscontri, il dirigente della squadra mobile era piombato a casa del ragioniere 42enne di Arese. Il quale, già un’ora dopo aver scaricato la 18enne nel campo di San Martino, era tornato dalla moglie e dalla figlioletta, rincasate proprio quel giorno dalle vacanze. Aveva lasciato il suo zaino pieno di accessori erotici sul suv di famiglia . In quella stessa casa, due notti prima, aveva già ospitato Lavinia, filmandosi mentre prendeva le misure di una fascetta, alle sue spalle, senza che lei se ne accorgesse.

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