Chiusa l’indagine sulla scala mobile dell’ospedale di Lodi

Bambino incastrato nella scala mobile dell’ospedale, concluse le indagini. L’avviso di chiusura è arrivato in queste ore. Per cinque persone l’ipotesi di reato è “lesioni colpose”. I fatti drammatici risalgono al pomeriggio del 22 gennaio 2014. Un bambino di Borghetto Lodigiano, che non aveva ancora compiuto 6 anni, rimase incastrato con il piedino in un gradino della scala mobile. Il piccolo, operato d’urgenza, salvò solo l’alluce. La scala mobile rimase bloccata a lungo. Oggi, le indagini si sono chiuse.

Al centro dell’inchiesta, condotta prima da Sara Mantovani e chiusa ora dal sostituto procuratore Roberta Amadeo, ci sono il direttore generale dell’ex Azienda ospedaliera Giuseppe Rossi, ma solo come legale rappresentante dell’Azienda e titolare degli obblighi di prevenzione infortuni e sicurezza nei luoghi di lavoro e Angelo Bosoni, amministratore delegato della Kone spa, ditta costruttrice della scala mobile e legale rappresentante della Neulift, società operante nell’installazione, posa, manutenzione e riparazione di scale mobili.

L’azione penale riguarda, allo stesso modo, anche Antonio Anghelone, consigliere delegato della Neulift, che ha ricevuto l’incarico dalla Multimanutenzione srl di fornire la scala mobile dell’ospedale, Domenico Tosca di Lodi, come legale rappresentante della Tosca ascensori srl, sottoscrittore della dichiarazione di conformità dell’impianto alla regola dell’arte, in quanto installatore e Luigi Rossi di Lodi, nella qualità di legale rappresentante della Bertoli srl, società alla quale è stata affidata la manutenzione della scala mobile, «per colpa consistita in negligenza, imperizia, imprudenza e inosservanza di leggi e regolamenti».

Bosoni è accusato, invece, di aver venduto la scala mobile nonostante «la stessa non fosse rispondente alle disposizioni e ai regolamenti vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro». Anghelone, Bertoli e Tosca sono accusati di «non essersi attenuti, nella fase di montaggio, installazione e verifica dell’impianto alle norme di salute e sicurezza sul lavoro. Tutti hanno omesso di verificare, in fase di costruzione, montaggio, installazione e verifica, nell’ambito delle manutenzioni periodiche effettuate sulla scala mobile, la conformità dell’impianto». Conformità, in particolare, rispetto «all’accoppiamento tra le parti laterali, del bordo di unione tra superficie di calpestio e alzata del gradino adiacente che presentava la formazione di uno spazio di libero accesso maggiore rispetto a quanto consentito dalla norma, che prevede un gioco tra due gradini non maggiore ai 6 millimetri e alla presenza di spigoli vivi, determinando un pericolo meccanico di imprigionamento tra gradino e gradino».

Il piccolo aveva infilato la scarpina sinistra «nel punto dove l’accoppiamento tra le parti terminali del piano di calpestio e le scanalature del gradino successivo non era corretto. Una circostanza questa che, unita alla presenza di uno spigolo vivo, determinava l’impigliamento e la trattenuta del laccetto in velcro della scarpa con successivo trascinamento e imprigionamento del piede del bimbo, nell’intercapedine esistente tra i gradini».

«Per quanto ci riguarda - annota il direttore dell’ospedale Rossi, citato solo come legale rappresentante - stiamo predisponendo la delibera di difesa dell’Asst. È un atto che ci aspettavamo data la gravità dell’accaduto. È un atto positivo per noi, però: ci consente di accedere al fascicolo del pm che contiene atti acquisiti nel corso dell’indagine. Abbiamo piena fiducia nella magistratura; pensiamo che già nella fase iniziale del procedimento si possa dimostrare la totale estraneità dell’Asst al fatto contestato».

© RIPRODUZIONE RISERVATA