«Chiara si poteva salvare»

Chiara Colombo poteva essere curata, la sua morte non è stata una fatalità o la conseguenza di patologie inguaribili: questa la conclusione cui è giunto il pool di esperti incaricato dalla procura della Repubblica di Lodi dopo l’esposto per omicidio colposo presentato dai genitori della bambina di sette anni di San Colombano al Lambro morta all’ospedale Maggiore nella serata del 27 gennaio scorso. Era stata ricoverata nel pomeriggio del giorno precedente con un forte mal di pancia e crisi di vomito, caratteristiche della “sindrome del vomito ciclico”, una malattia considerata rara, con un’ottantina appena di diagnosi in tutta Italia. «Di questa sindrome nessuno muore più da cinquant’anni - constata il dottor Orazio Leopardi, uno dei consulenti della famiglia Colombo -, perché sono stati messi a punto dei trattamenti, a cominciare dalla riduzione dell’acidità dello stomaco».

La “sicvo”, così è chiamata la sindrome nella letteratura medica internazionale, era stata diagnosticata a Chiara ad Abu Dhabi, in Thailandia e al Gesù Bambino di Roma. Sembra che i genitori avessero fornito ai medici dell’ospedale Maggiore l’indirizzo di un esperto di Brescia, il pediatra Alberto Ravelli, che conosce la sindrome, e che nessuno però l’abbia interpellato nelle 30 ore del ricovero della bambina. L’ha chiamato invece il pm Giampaolo Melchionna, come uno dei tre consulenti della procura che assieme all’anatomopatologa Yao Chen e al tossicologo Angelo Groppi, della Medicina legale di Pavia, hanno consegnato nei giorni scorsi il loro referto. Dagli inquirenti trapela solamente che sarà un caso complesso. In una prima analisi l’autopsia aveva evidenziato una polmonite interstiziale, poi era stata disposta la perizia tossicologica.

«Il fatto che siano stati necessari quasi otto mesi per depositare l’esito dell’autopsia indica che sicuramente non era un caso facile nemmeno per i medici», riflette l’avvocato Ennio Ercoli, difensore di tre degli otto sanitari iscritti sul registro degli indagati. Sono quattro operatori della pediatria, un chirurgo e tre medici della terapia intensiva. Il pm chiarirà se qualcuno di loro potrebbe essere venuto meno ai suoi doveri professionali.

Il pm ora intende acquisire le perizie di parte che i consulenti dei medici sotto inchiesta vorranno depositare.

«Nei bambini non si ha quasi mai una causa precisa di morte - riflette il dottor Leopardi -: molto spesso è l’articolazione di più fattori». E per Chiara il vomito ripetuto può aver significato uno squilibrio elettrolitico, un dolore enorme e uno stato di sofferenza generale, oltre a una lesione emorragico-erosiva gastro-esofagea, che però non è degenerata nella più grave lesione di Mallory - Weiss, che è una perforazione del tubo digerente. L’autopsia ha rivelato anche un principio di polmonite ab ingestis, indice di uno stato di debilitazione estremo della piccola, con la gola che non riusciva più a impedire il riflusso di liquidi nella trachea. L’impossibilità di rilevare la pressione arteriosa, inoltre, potrebbe essere stato indice di uno stato di shock, e la somministrazione di morfina, nelle ultime ore, anche se non si tratta di un farmaco del tutto escluso dall’approccio terapeutico alla “sicvo”, dovrà ora essere valutata dai consulenti medici alla luce delle condizioni della bambina. Anche perché la morfina può deprimere i centri del respiro.

Le cure che le erano state prestate, avevano fatto sapere i genitori, erano consistite nelle prime ore in flebo, per la reidratazione, e antidolorifici, quindi in nottata era stata somministrata glicerina, pensando forse che fosse necessario un lassativo, che però non aveva eliminato il “mal di pancia”, e quindi il giorno successivo si era passati ad antidolorifici più potenti. Nel pomeriggio, il primo arresto cardiaco, 40 minuti di rianimazione e quindi il trasferimento in terapia intensiva e la dichiarazione di morte.

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