«Case di comunità, pronte entro il 2026, stiamo arruolando gli infermieri, ne mancano circa 38» VIDEO

L’INTERVISTA Al DIRETTORE GRIGNAFFINI «Sono in via di definizione, a livello regionale, i contenuti, rispetto al ruolo e alla presenza dei medici»

Lodi

D - Direttore, attualmente in casa di comunità dovrebbero andare le persone che non hanno un problema urgente, invece di andare in casa di comunità, dove dovrebbe esserci il medico di famiglia per la visita, lo specialista, la possibilità di fare esami strumentali per la diagnosi...È corretto?

R - «Vediamo meglio. Innanzitutto in casa di comunità devono andare delle persone con delle fragilità per essere prese in carico, valutate e accompagnate. La porta d’ingresso è il punto unico di accesso (aperto a Lodi presso l’ex ospedale Fissiraga, ndr). Il medico di specialità e di continuità assistenziale ci sono già oggi: la continuità assistenziale, negli orari notturni e nei giorni festivi, gli specialisti che fanno attività da poliambulatorio e vedono tutte le persone che si prenotano al Cup. Qui a Lodi abbiamo definito dei percorsi con i medici di medicina generale per confrontarsi con gli specialisti e inviare loro, in tempi abbastanza rapidi, dei pazienti cronici che si stanno scompensando. Questo certamente può aiutare ad evitare dei ricoveri o degli accessi in pronto soccorso di pazienti che si stanno riacutizzando. Su quello che diceva lei il dibattito è abbastanza aperto. Abbiamo il medico di medicina generale che può spostare il suo ambulatorio in casa di comunità, ma lì continua a fare il suo lavoro che fa oggi (medico titolare che visita i suoi assistiti, quindi cambia la sede, ma non cambia la sostanza). Sul ruolo del medico, rispetto al requisito Agenas, invece (presenza sulle 24 ore, nel nostro caso 12 perché di notte c’è la guardia medica) il tema deve essere affrontato a livello regionale. Ci sono in questi giorni anche degli incontri per definire l’accordo integrativo regionale della medicina generale. Lì bisogna definire cosa fa il medico in quelle ore. Quello che dice lei, questa è la mia opinione personale, può essere anche pericoloso in termini di sicurezza per i pazienti. Il problema è se si confonde un’urgenza minore con quella che si scopre poi essere un’urgenza maggiore: la casa di comunità non è un pronto soccorso, non è un ospedale, quindi bisogna fare molta attenzione su questo tipo di valutazione. In casa di comunità, come le dicevo, c’è la diagnostica, ci sono gli specialisti, ma su quale tipo di paziente accede, come e qual è il ruolo del medico è un tema all’ordine del giorno oggi, che viene affrontato a livello regionale e bisogna definirlo bene e con attenzione perché la qualità e la sicurezza delle cure devono essere prioritarie».

. Video di Alexandru PloiesteanuCase di comunità, parla Il direttore generale dell'Asst

D - Quindi i contenuti sono ancora in via di definizione, ma adesso quali case di comunità avete avviato nel Lodigiano?

R - «Sant’Angelo, nel distretto dell’Alto e poi Casale e Codogno nel Basso. Stiamo arrivando progressivamente a raggiungere i requisiti richiesti da Agenas. Lasciamo un attimo da parte il discorso del medico sulle 12 ore diurne perché comunque sono tutte e tre sedi di continuità assistenziale quindi, come dicevo, sulla notte e sui festivi già ci siamo. Gli specialisti ambulatoriali ci sono già con questa doppia veste:poliambulatorio aperto al Cup e percorsi con la medicina generale oltre al teleconsulto e alla televisita, poi abbiamo il punto unico di accesso con un orario che verrà via via ampliato in base all’accesso dei pazienti. È un servizio che abbiamo riformato a metà dell’anno scorso mettendo stabilmente l’infermiere di famiglia e l’assistente sociale. Adesso con un lavoro costante con i medici di medicina generale e i sindaci i cittadini stanno conoscendo e stanno iniziando ad utilizzare il servizio per il valore che ha: prendere in carico e accompagnare le persone più fragili. Poi abbiamo tutti gli altri servizi: il punto prelievi che è presente in tutte e tre le sedi, la diagnostica, il servizio infermieristico, anche questo con un orario che si deve via via espandere fino ad arrivare alle 12 ore del requisito Agenas. Troviamo l’infermiere di famiglia nel punto unico di accesso, lo troviamo negli ambulatori infermieristici dove fa prestazioni tecniche tipo cambio catetere, medicazioni...».

D - In attesa della definizione dei contenuti cosa fanno?

R - «Sulla parte infermieristica ci siamo: ci sono il Punto unico di accesso, abbiamo detto, l’ambulatorio infermieristico che è un servizio attivo, su prescrizione del medico di medicina generale o dello specialista, per fare prestazioni tecniche tipo quelle che dicevo prima, oppure incontri per l’educazione sanitaria al paziente o al care giver. Amplieremo questa attività come estensione oraria in base alla domanda per rispondere al requisito delle 12 ore diurne entro il 31 dicembre. L’infermiere di famiglia, poi, va al domicilio a fare sorveglianza domiciliare per i pazienti cronici, su prescrizione o indicazione del medico di medicina generale o dello specialista in dimissione ospedaliera».

D - Le nostre case di comunità sono hub o spoke?

R - «Tutte hub, sia le tre già attive che Lodi e Zelo che verranno attivate nel corso del 2026».

D - Quante ore dovranno funzionare?

R - «Il requisito hub è delle 24 ore per la presenza medica e delle 12 ore per la presenza infermieristica 7 giorni su 7».

D - Adesso quante ore funzionano?

R - «Adesso dalle 8 alle 18 e fino al sabato. Essendoci la continuità assistenziale, il servizio notturno è già 7 su 7 e anche il sabato e la domenica c’è il medico di continuità assistenziale. Con l’infermiera arriviamo a 5 su 7 e stiamo via via estendendo: a breve arriveremo a 6 su 7 ed entro il 31/12 a 7 su 7».

D - A Lodi c’è il Punto unico di accesso?

R - «Abbiamo fatto l’attivazione precoce del Pua perché abbiamo visto che nelle tre case di comunità già attive la piena conoscenza e l’utilizzo da parte dei cittadini del punto unico di accesso richiede del tempo perché sia conosciuto e utilizzato. Quindi, in accordo con il Comune, abbiamo avviato il punto unico di accesso in via Fissiraga e lì effettivamente con la collaborazione dei medici di medicina generale del territorio e degli assistenti sociali del Comune di Lodi stiamo iniziando a rodare la macchina».

D - Quindi che pazienti mandano?

R - «Mandano dei pazienti fragili che hanno bisogno di mettere insieme tutte le risposte. Prima della casa della comunità un paziente più in difficoltà doveva andare ad attivarsi l’Adi da una parte, la protesica dall’altra, il servizio domiciliare del Comune da un’altra ancora. Il senso del punto unico di accesso è avere un unico punto dove la persona viene presa in carico e accompagnata: non è più lui che si muove, ma sono i servizi che si muovono intorno a lui sulla base di un progetto individuale Questo è il grande valore aggiunto che però deve essere conosciuto perché è una novità profonda. Questo Pua poi dovrà essere trasferito nell’ex maternità in viale Savoia quando apriremo la casa di comunità di Lodi. I lavori dovrebbero concludersi entro dicembre, poi abbiamo la procedura di accreditamento che dovrebbe durare 2 o 3 mesi e dovremmo partire entro marzo con tutto».

D - A livello nazionale i medici di medicina generale non sono tanto d’accordo ad entrare nelle case di comunità. È così anche a Lodi? Raggiungerete l’obiettivo?

R - «Non è un tema di Lodi. La collaborazione con i medici di medicina generale della provincia di Lodi è totale: ci incontriamo periodicamente. Su tutti questi percorsi c’è già una bella collaborazione. Su entrare e fare che cosa non è un tema lodigiano, ma quantomeno regionale ed è oggetto di trattativa a livello di accordo integrativo regionale. Quindi è lo sviluppo che aspettiamo. Il tema che viene dibattuto è: Ok, io entro perché comunque è un modello nazionale, ma a far che cosa? Quest’ultimo aspetto è oggetto di trattativa».

D - Mi pare che l’idea fosse nata durante il Covid per colmare il buco della medicina territoriale...

R - «Sì sì, sicuramente, il presupposto della casa di comunità parte da lì, ma il che cosa fare va definito bene, avendo però in primis l’attenzione alla qualità e alla sicurezza del paziente. Sono sicuro che si arriverà a trovare una soluzione che vada a tenere in considerazione anche questo aspetto importante e nello stesso tempo ad adempiere al requisito definito da Agenas».

D - Facciamo un esempio: mia mamma ha una piaga da decubito, posso venire in casa di comunità a farla visitare dall’infermiere?

R - «Certo, si fa fare l’impegnativa al medico di medicina generale che è una figura centrale, è lui che decide se è una prestazione da casa di comunità o altro, ma il tempo di attesa è zero».

D - Gli infermieri di famiglia vanno a casa delle persone in questa fase?

R - «Sì, su prescrizione del medico di medicina generale, per prestazioni tecnico infermieristiche, misurare i parametri vitali ai cronici, controllare l’aderenza terapeutica, fare educazione sanitaria al paziente e ai famigliari».

D - La televisita attualmente riguarda solo la diabetologia?

R - «Sì, ma vogliamo estenderla per chi ha difficoltà a muoversi per i controlli. L’infermiere di famiglia va a domicilio e supporta la televisita: mentre il diabetologo è in studio, l’infermiere di famiglia è a casa del paziente, aiuta ad osservare i parametri vitali, la condizione del paziente, controlla ad esempio il piede diabetico, vede se ci sono piaghe o altro e come vengono conservate le terapie, come viene misurata la glicemia e somministrata l’insulina, se servono interventi di educazione sanitaria».

D - A quali specialità estenderete la televisita?

R - «Siamo sempre nell’ambito della cronicità, penso allo scompenso cardiaco piuttosto che a una Bpco».

D - Quali sono i numeri delle case di comunità nel primo semestre 2025?

R - «Per quanto riguarda gli accessi al Pua, a Sant’Angelo siamo a 360, Lodi 40, Codogno 498, Casale 169. Sulla presa in carico dell’infermiere di famiglia e comunità con sorveglianza e monitoraggio domiciliare, nell’ Alto Lodigiano 130, a Codogno 34 e Casale 25. Sulle visite al domicilio per valutazione assistenziale ed educazione del paziente, del caregiver e della famiglia, nell’Alto Lodigiano abbiamo registrato 383 accessi, a Codogno 170 e Casale 72. Nell’ambulatorio dell’infermiere in casa della comunità, abbiamo effettuato 51 prestazioni infermieristiche a Sant’Angelo, 79 a Codogno e 68 a Casale».

D - Gli infermieri ci sono?

R - «Abbiamo aperto un bando. Ne servono 10 per ogni casa di comunità: attualmente sono circa 12».

D - Dal Pnrr quante risorse sono arrivate per il Lodigiano?

R - «Circa 12milioni e mezzo per realizzare le 5 case di comunità e i due ospedali di comunità di Sant’Angelo e Casale»:

D - A Zelo a che punto siamo?

R - «I lavori sono già partiti. È un cantiere più complesso perché non era una struttura sanitaria, ma un’ex scuola quindi richiede molti lavori, tra l’altro prendendo in carico l’edificio: quando ci è stato trasferito con il contratto di comodato sono emersi dei problemi di copertura che abbiamo dovuto sanare per poi avviare il cantiere del Pnrr. Arriveremo proprio al fotofinish, ma arriveremo anche su Zelo. Quindi parliamo sempre del 2026».

D - Nel 2026 quindi dovrebbe essere tutto definito...

R - «Sì»

D - Siamo fiduciosi?

R - «Sì, dobbiamo».

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