Battiato e il Lodigiano, due incontri che hanno lasciato il segno

Nel 2008 a Casale e nel 2010 a Lodi: lezioni di cultura, umanità e intelligenza

Una carriera lunga e multiforme. Franco Battiato, scomparso ieri all’età di 76 anni dopo una lunga malattia, non è stato solo uno dei cantautori più geniali e innovativi della storia italiana: in lui convivevano tante anime, un vulcano creativo irrefrenabile che lo ha portato a esplorare tutte le frontiere dell’arte. E proprio a Lodi, il maestro siciliano si presentò il 6 maggio 2010 nelle inedite vesti di pittore in occasione della mostra personale “Prove d’autore”, allestita negli spazi di Bipielle Arte come prologo del Festival dei comportamenti umani. Per Battiato la pittura era una “sfida”, una “terapia riabilitativa”. Le 25 opere esposte a Lodi illustravano una parte del cammino spirituale percorso dall’autore. Di pittura, ma anche di musica, cinema e costume, Battiato parlò anche durante l’incontro con il giornalista Beppe Severgnini. «Fu l’incontro principale di quell’edizione del Festival – racconta Andrea Ferrari, all’epoca assessore alla cultura del Comune di Lodi -. Ebbi il privilegio di poter scambiare due chiacchiere con Battiato: aveva la capacità di trasmettere, con poche parole, grandi emozioni, sentimenti e visioni».

Durante la chiacchierata con Severgnini, Battiato esordì con una frase amaramente ironica: «Quando guardo com’è combinato oggi il nostro Paese sono spinto a disgustarmi. Mi occupo per diletto e professione dell’essere umano, ma in quanto essere umano ho anche io le mie debolezze». Tantissimi gli omaggi social ispirati ai suoi brani, tra cui quello del’ex sindaco di Lodi e attuale ministro della difesa, Lorenzo Guerini, che ha scelto un verso de “La cura”.

Uno sguardo fuori dal coro anche in ambito cinematografico. Nei panni di regista, Franco Battiato sbarcò sul palco del Teatro di Casalpusterlengo il 30 gennaio 2008 nel corso di un evento organizzato da Provincia, Comune e Regione. «Non mi interessa divertire il pubblico: mi interessa raccontare l’eccellenza dei nostro conterranei, intesi come abitanti del pianeta terra», raccontò l’artista siciliano durante la conversazione con lo scrittore lodigiano Fabio Francione, “intermezzo” della retrospettiva dedicata a quattro film del maestro, “Perdutoamor”, “Musikanten”, “Niente è come sembra” e un documentario sulla vita dell’amica Giuni Russo. «I miei film sono stati paragonati a quelli di Rossellini, Bresson e Buñuel? In effetti sono registi che amo, ma ormai esclusi da qualsiasi palinsesto – rispose Battiato -. Tutto il cinema americano un’esaltazione della delinquenza, una cosa che proprio non riesco a comprendere. No, non mi piace il cinema moderno.E bisogna saper far ridere andando oltre i soliti luoghi comuni». Come ricorda Francione, «Battiato si approcciò al cinema per sfogare una creatività molto vasta. I suoi film sono una sintesi della sua filosofia e della sua arte. Il successo dell’album “La voce del padrone” gli ha permesso di seguire solo le sue passioni, senza più preoccuparsi del lato commerciale». I ricordi di quella chiacchierata a Casale? «Parlammo di cinema a tutto mondo, Battiato mostrò una competenza straordinaria in materia. Fu anche molto affabile, preciso, disponibile, rispettoso delle opinioni altrui. Ho avuto modo di intervistarlo altre volte per il “Manifesto”. Mi ha sempre affascinato per la sua apertura alle collaborazioni (Alice, Giuni Russo, Milva, Gaber…) e per la sua versatilità artistica e intellettuale». La serata di Casale di 12 anni fa è ricordata anche per un incontro speciale favorito proprio da Francione. Tra il pubblico, numerosissimo, c’era anche una compagna di asilo di Battiato, Graziella Costanzo, casalinga di Casaletto Lodigiano, che ha avito modo di parlare con l’amico che non vedeva da olyte mezzo secolo. Nel 1950 frequentarono la stessa classe in via Mario Rapisardi, a Riposto, in Sicilia, sotto la guida della maestra Rosetta Casella. Nella sceneggiatura di “Perdutoamor”, il primo film di Battiato, ci sono precisi riferimenti a un’altra insegnante di entrambi, la maestra Amelia, descritta nel film come «una donna bella e fine sui 30 anni».

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