Vivere con la cultura aspettando primavera

Non è passato in fondo molto tempo, da quando un illustre ministro dello scorso governo, per giustificare un timido taglio di bilancio, disse sprezzante che «la cultura non si mangia». Fulvio Sant - protagonista del terzo romanzo di Flavio Santi, che fin dal titolo echeggia l’anti-epica del lavoro culturale di Luciano Bianciardi e la disillusione dell’Arturo Bandini di John Fante - potrebbe paradossalmente dare ragione a quel cinismo targato via XX settembre, eppure la sua vita di sottoproletario cognitivo è la testimonianza di un impegno, e con esso di un desiderio, che non deflettono innanzi alle agre condizioni di vita dell’odierno lavoratore della conoscenza. Fulvio traduce romanzi per editori che stentano a pagarlo; scrocca il pranzo alla mensa di case editrici che abbassano il livello culturale di quel che pubblicano, all’ovvio scopo di vendere di più; s’intrattiene suo malgrado con stimati critici televisivi di libri, che di libri non vogliono sapere nulla, essendo allergici alla lettura. Nonostante ciò, Fulvio Sant continua a scrivere, a insegnare, a leggere, a tradurre. Beninteso: il personaggio di Santi non è un critico della società come Pasolini, poiché anche gli spazi per un atteggiamento di quel tipo si sono nel frattempo inevitabilmente consumati. La sua aderenza alla parola è più utopia che militanza, è più scommessa a favore di una fede, che assunzione di una responsabilità nei confronti degli altri. Il caso, la fortuna, non consentono di pianificare alcun riscatto. Quel che resta è l’ironia anche feroce dello scrivere, animata però da immaginazione poetica.

_____

FLAVIO SANTI, Aspetta primavera, Lucky, Edizioni Socrates, Roma 2011, pp. 143, 9 euro

© RIPRODUZIONE RISERVATA