Versi “in merceria”: la ricetta di Fiori

Questo nuovo libro di Antonio Fiori (nato a Sassari nel 1955) è tripartito. Raccoglie nella prima sezione In merceria poesie della silloge inedita presentata al Premio Montale Europa 2004, una delle sette vincitrici, e altre due dove sono raccolte prosaicamente e, non so quanto ironicamente, Nuove poesie e Ultime poesie. Come altrove la scrittura di Fiori è chiara, precisa, misurata, sa ben miscelare il rapporto di senso fonico-metrico fra forme della tradizione cantabile italiana e narrazione. Sa dire io e intercalarlo col tu, attori quest’ultimi del testo e forme dello smottamento della sensibilità, che in modo lieve sanno narrare le scissioni e dissociazioni del quotidiano, di quel po’ di sapienza e di sovrana e quieta follia, follia di tutti i giorni e cieca insensibilità programmata, che sta divenendo un bene di consumo. Nella sezione Nuove poesie tutto è nuovo: le ricchezze i paesaggi, i peccati, le speranze, i propositi, le amicizie, il lavoro, i nemici, gli spazi, i paradisi, le fedi, le poesie. Ciò rende una delle categorie care al moderno e ad Ernst Bloch un nonsense e un refrain grottesco. Ma è questo sottile equilibrio fra leggerezza e depersonalizzazione che rende intriganti queste poesie. Per tutti i versi Dentro: «Che cosa è rimasto / di quello che fu luce / che mi scaldava sempre / che non avrò più? // Ferita infetta, arto mozzato // ... ed era leccio, vetta / giovane roccia // fiato».

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