Valerio Magrelli, se il ricordo lega quel filo reciso

È «una ombra-aria, un velo» quella che unisce padre e figlio e che Valerio Magrelli cerca nel suo romanzo alquanto sui generis Geologia di un padre, in uscita nei Supercoralli delle edizioni Einaudi (143 pagine, 18 euro). Sorta di montaggio di riflessioni, pensieri, citazioni, pagine di enciclopedia, versi ed aneddoti, il libro è dedicato al padre, l’ingegner Giacinto Magrelli, morto a 83 anni, quanti sono ora i capitoli del romanzo. Poeta di raccolte come Ora serrata retinae (pubblicato nel 1980) e Nature e venature(edito nel 1987), nonché francesista, traduttore e saggista, Valerio Magrelli, 56 anni, nel percorrere quella sottile e potentissima linea che lega i padri ai loro figli vede trasformarsi la sofferenza della perdita in un addio doloroso e al tempo stesso liberatorio. «Non mi importa nulla degli archivi, e provo nausea per i documenti. L’unico documento sono io: la carta moschicida del ricordo», dice mentre mette in

soffitta le agende del padre che non ha nessuna curiosità di leggere. Ma perché è invece preso dal desiderio di rievocare il suo genitore? «Forse perché mi manco. È come se soffrissi per la mia morte. Infatti, ai suoi occhi, il morto sono io. Io l’ho perso, nella stessa maniera in cui lui ha perso me. È come se avessi perso, per un lutto riflesso, una parte di me. E dunque mi compiango, molto più di quanto non mi compianga lui» spiega ancora il poeta. E solo un poeta, quale Valerio Magrelli è, può scrivere un libro come questo, in cui la prosa va al di là del racconto. In fondo, come spiega lui stesso nella nota finale - parlando dei suoi lavori in prosa Nel condominio di carne (pubblicato nel 2003) La vicevita. Treni e viaggi in treno (edito nel 2009) e Addio al calcio (pubblicato nel 2010), a cui ora si aggiunge appunto Geologia di un padre - «potrei dire che ognuno di questi quattro libri in prosa partecipa alla diffusione di particelle esogene, di colonie straniere, di materiali alloctoni, di presenze aliene, ossia, altrimenti detto, di citazioni. L’intratestualità, cioé il ricorso a inserti di mie composizioni preesistenti, funziona insomma come una sorta di autotrasfusione».Geologia di un padre si apre con un’immagine forte, straziante: quella che vede il narratore costretto a guardare dentro l’antica tomba di famiglia al cimitero del Verano, a Roma, per capire se c’è posto per un nuovo arrivato, suo padre. Senza arrivare a un ritratto armonico, Magrelli racconta il padre, del quale in apertura vengono riportati alcuni disegni, come un uomo schiacciato dalla noia domenicale, pessimista, un «vecchio esacerbato e vulnerabile», un «Padre-Pinocchio, da sempre sottobraccio con il Gatto e la Volpe» che «aveva un vero fiuto per le fregature», ingegnere quando sarebbe stato un perfetto architetto o storico dell’architettura, iroso eppure tenero, assente e presente al tempo stesso. Un padre che ha dato al figlio solo un schiaffo e che gli ha insegnato ad aprire sempre le porte: «Quando una porta è chiusa, non ti fermare mai. Vai dritto e aprila». Nel libro, la madre di Valerio Magrelli appare invece solamente al capitolo 72, l’unico che le viene dedicato: a omaggiarla è toccante immagine nella quale, sorda da tempo, è afflitta dall’Alzheimer che le toglie anche la parola, ma le permette comunque di illuminarsi quando vede il figlio.

_____

Valerio Magrelli, Geologia di un padre, Einaudi editore, Torino 2013, pp 143, 18 euro

© RIPRODUZIONE RISERVATA