Uno scrittore in fuga e il suo angelo armato

Uno scrittore senza nome e il capo della sua scorta, Angelo, vivono esistenze braccate, in luoghi disadorni e senza storia, anonimi e non riconoscibili, come impersonale e cieca è la violenza di chi vuole la loro morte. Benché la vicenda di Roberto Saviano sia l’evidente fonte d’ispirazione del nuovo romanzo di Massimiliano Governi - autore tanto capace quanto avaro di pubblicazioni - la scrittura adottata è lontana dall’adesione al dato di cronaca e si scosta nettamente dal romanzo d’inchiesta, ammesso e non concesso che questa definizione esaurisca l’oggetto narrativo costituito da Gomorra. L’operazione di Governi è d’altra natura, o meglio, mette in evidenza il lato meno indagato del lavoro di uno scrittore come Saviano: i personaggi di Chi scrive muore sono prodotti onirici, squisitamente narrativi, essi stessi squassati dalle visioni e dagli incubi che solo l’incertezza costante e la paura possono creare. La scrittura, parallelamente, è allucinata e insieme corporea, tesa come una lama affilata sul crinale che separa, e unisce, pulsione e immaginazione, tanto da ricordare a tratti lo stile di Antonio Moresco. La parola ha qui un peso organico, pur essendo generatrice di fantasmi inconsci, e d’altra parte la purezza esemplare dell’eroe, nelle pagine di Governi, non è di casa. Quelli dello scrittore e del suo angelo custode non sono ritratti agiografici, anzi, di questi ultimi rappresentano il contrappunto più dissonante. Lo scrivere - un certo tipo di scrivere - non è un mestiere per anime belle: «La scrittura è un coltello con due lame ma senza manico. Ti tagli comunque lo impugni».

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