Un folle Sudamerica e un dittatore pazzo

 Più che un vero giallo un romanzo nero, cinico, con forti dosi di surrealismo e di comicità estrema, ai limiti dell’inverosimile quello di Antonio Ungar, giovane rivelazione della letteratura colombiana. Ambientato nella repubblica di Miranda, stato immaginario, dominato da un padre padrone, don Tomás del Pito, cognome che è tutto un programma, vera e propria repubblica delle banane nelle mani di una casta al potere da tempo immemorabile, controllata dalle grandi multinazionali, dove l’unica cosa certa e sempre puntuale è la morte. Coi suoi signori della guerra, i gruppi terroristici di ispirazione marxista, gli squadroni della morte controllati dal governo, i narcotrafficanti coi loro killer e i narcodollari, i militari e i soliti ricchi che controllano il paese, l’immaginaria Miranda ricorda nella realtà le vicende di molti stati latinoamericani, non ultima la Colombia patria dell’autore. Qui vive José Cantoná, l’indolente protagonista che passa tutto il suo tempo con l’immancabile vestaglia facendo le sue prime colazioni a base di vodka con uno squallido tran tran quotidiano. Ma José è anche il perfetto sosia del candidato dell’opposizione alle prossime elezioni politiche, quel Pedro Akira paladino dei poveri e degli emarginati, freddato dai sicari del presidentissimo all’interno di un ristorante italiano. Tenuta segreta la morte del candidato da parte dei suoi collaboratori il protagonista si ritrova così a dover sostituire Akira, almeno sino alle elezioni, nel tentativo di scalzare del Pito dal potere, in un caleidoscopio di vicende surreali e di personaggi bislacchi in cui il protagonista scoprirà di possedere una dignità propria.

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