Un avvocato in piena crisi

«La donna che l’ha lasciato, non la merita» afferma la salumiera mentre serve il taciturno Vincenzo Malinconico, cui il dolore dell’abbandono evidentemente lo si legge in faccia. È tornato l’avvocato di Salerno creato da Diego De Silva, dopo il successo di Non avevo capito niente , che ha superato abbondantemente le 100mila copie, e Mia suocera beve , con tutta la sua proterva sfiducia in se stesso che lo spinge a interrogarsi, arrovellarsi, ribellarsi, invece di compiangersi. Questa volta, anzi, cerca aiuto da uno psicanalista col quale entra subito in conflitto, che contesta, che pensa non serva a niente e cui mente almeno quanto mente a se stesso, «non per ingannarmi. Mento a me stesso per crederci». È uno dei suoi principi, dei suoi lampi di coscienza che ce lo rendono simpatico, che ci fanno tenerezza, come nel momento in cui confessa: «Sono fatto così: quando mi aspetto il peggio, gli vado incontro a braccia aperte».

Allora i ricordi che ti possono stringere il cuore all’improvviso, è lui stesso a richiamarli, perché conosce «ogni micromovimento, avvisaglia, sintomo o rumore del mobbing dell’infelicità», e cerca di prevenirlo con la sapienza di chi è «abbastanza vecchio da aver capito che non ci sono problemi risolvibili. Se no non si spiegherebbe come mai non ho mai risolto un problema in vita mia». La crisi che segue l’essere stato abbandonato porta questo personaggio inquieto e curioso, dai ragionamenti capaci di risolversi in paradossi che contengono la loro punta di verità, a vedere criticamente tutto il mondo, tutta la realtà che lo circonda, a interrogarsi sulle cose più disparate, sui sapori o dolci dell’infanzia che sono spariti, sui meridionali che si trasferiscono a Roma, sulle donne (e non raccontiamo il rapporto con Viola, vecchia fiamma richiamata alla vigilia delle sue nozze) e sulle canzoni che hanno fatto da colonna sonora alla sua vita, specie quelle degli anni Settanta (di cui alla fine ci offre la playlist). Nascono così le pagine ironiche e divertenti sulle donne in aeroporto, sugli emigrati che tornano a casa per Natale e che si pensano osservati, per cui drizzano la schiena e gonfiano il petto, sul valore delle emozioni, divagazioni che spaziano ovunque, come la vita quotidiana. E su tutto l’amore per un’icona pop come Raffaella Carrà e le sue canzoni: Rumore e poi Forte forte forte, una «piacevolissima ballad, con sprazzi chitarristici blues alla Clapton, disinibito coming out di una donna felicemente consegnata alla poderosa virilità del suo amante» («Poi rimango vuota e ferma in quel momento / non vi dico allora, allora cosa sento»), che ha il suo naturale sbocco in Tanti auguri, che invita a far l’amore con chi capita e ovunque «da Trieste in giù». Ma forse la canzone chiave, per il nostro Malinconico, non può che essere Chissà se va, che non è, per lui, che un anticipo di Una vita spericolata di Vasco. Questo terzo libro sull’avvocato ci fa sorridere cento volte, ci porta con sé nel saltare da un pensiero all’altro, da un’osservazione a una riflessione, così, allo sbando come lo è la vita del protagonista, senza più una storia. Pagine, appunti, dialoghi, scritti, in una dissoluzione dell’idea tradizionale di romanzo, che potrebbe però concludere questo ciclo, un trittico perfetto, perché ci piacerebbe veder tornare De Silva a temi forti, a costruzioni inquietanti e solide, a una scrittura meno in punta di penna.

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DIEGO DE SILVA, Sono contrario alle emozioni, Einaudi, Torino 2011, pp. 170, 16 euro

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