Spine e profumi, le rose di Shell e lo stile di Dowd

Le rose di Shell hanno spine acuminate, che feriscono l’anima prima del corpo. Ma come tutte le rose sono profumate e la loro fragranza, in qualche modo, lenisce il dolore, anche quello più acuto.

Oscilla fra tragedia e commedia il delicato romanzo con cui esordì nel 2006 Siobhan Dowd, talentuosa scrittrice inglese di origini irlandesi scomparsa 47enne un anno più tardi, e che l’editore Uovonero manda in libreria con l’impeccabile traduzione di Sante Bandirali e un titolo (Le rose di Shell) che gioca su più significati - oltre a quello floreale già accennato - che lasciamo al lettore capire in prima persona. Significati che il pur suggestivo titolo originale inglese (A Swift Pure Cry) non consentiva.

Il romanzo è il solo pubblicato in vita dall’autrice, i cui altri lavori, rimasti a lungo nel cassetto, uscirono postumi fra 2007 e 2009 e, in Italia, fra 2011 e 2015, sempre per i tipi metà lodigiani e metà cremaschi di Uovonero.

Le rose di Shell. presentato dall’editore al Bologna Children Books Fair nei primi giorni di aprile, è un’opera, come tutte quelle della Dowd, solo all’apparenza per ragazzi (è consigliata sopra i 13

anni). Se è vero, infatti, che l’autrice britannica mette al centro delle sue trame sempre dei ragazzi e fa della semplicità e linearità di scrittura la sua cifra stilistica principale - accanto a un lirismo di fondo con punte di notevolissima fattura -, la sua è una narrativa assolutamente “matura” per i temi che tratta e per come li tratta.

Qui, protagonista della vicenda, ambientata in un piccolo villaggio dell’Irlanda meridionale dei secondi anni Ottanta del secolo scorso, è una ragazzina adolescente, Shell Talent, che la morte della madre lascia in una situazione più grande di lei: con un padre che si rifugia nell’alcol e nella religione per combattere il dolore della perdita, e con due fratelli piccoli da accudire.

Ma se Shell deve badare agli altri, padre compreso, assumendo anzitempo un ruolo che per l’anagrafe non le compete, nessuno può badare a lei, al suo disperato bisogno di affetto e compagnia, al suo cuore ferito dalla scomparsa del riferimento materno. E così riempie il suo vuoto con un amore sbagliato quanto acerbo e ne affronta le conseguenze, ancora una volta, da sola, con il solo conforto - inevitabilmente limitato e inefficace- degli amatissimi fratellini. Non aggiungiamo altro per non togliere il gusto della lettura, che riserva non poche sorprese, specialmente nella seconda parte del romanzo, quando il rivolo della vita di Shell, presto diventato tortuoso ruscello, si fa impetuoso fiume fino a riversarsi in un mare di guai e tribolazioni su cui navigare con la sua fragile scialuppa di ragazzina.

Dowd ha un’abilità naturale - peraltro palesata già negli altri romanzi - nel narrare in modo semplice, piano e allo stesso tempo coinvolgente, abbracciando il punto di vista della protagonista senza mai ingombrare il campo con il suo Io narrante, che resta ai margini, discreto, senza mai giudicare.

La figura di Shell esce così in tutte le sue fragilità di adolescente rimasta troppo presto senza madre, ma anche nelle qualità di giovanissima donna impegnata a far da mamma ai fratelli e da balia a un genitore più fragile di lei. Ci si commuove, ci si appassiona e ci si arrabbia, dalla prima all’ultima pagina.

Siobhan Dowd

Le rose di Shell - Uovonero, Crema 2016, pp. 300, 14 euro

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