Server e infradito, la storia di Facebook

È quasi un omaggio a Mark Zuckerberg, padre del più famoso social network, il libro del giornalista David Kirkpatrick

Come è riuscito un ragazzo di 19 anni a fondare una start-up che ha trasformato il web? E come ha fatto a portarla fino alle attuali dimensioni? Perché gli altri social network non hanno avuto lo stesso successo? A queste e altre domande cerca di rispondere il libro inchiesta Facebook. La storia di David Kirkpatrick, giornalista che si occupa di tecnologie, uno dei primi ad intervistare Mark Zuckerberg quando era senior editor per la rivista «Fortune». Il libro è uscito già negli Stati Uniti un anno fa con il titolo The Facebook Effect. In coincidenza con la pubblicazione in Italia, Kirkpatrick è stato in questi giorni nel nostro Paese: il 31 maggio era a Milano e ieri è stato a Bologna alla libreria Coop Ambasciatori.

«Siamo un’impresa di pubblica utilità. Cerchiamo di incrementare l’efficienza con cui le persone possono comprendere il mondo che le circonda. Non cerchiamo di massimizzare il tempo che la gente trascorre sul nostro sito, ma di aiutare gli utenti ad avere un’esperienza positiva e a sfruttare al meglio quel tempo»: così Zuckerberg, nell’estate 2006, aveva spiegato a Kirkpatrick la sua visione dell’azienda. Aveva 21 anni, due anni prima aveva creato TheFacebook nella sua stanzetta da universitario di Harvard (i suoi colleghi, i gemelli Cameron e Tyler Winklevoss, sono da anni impegnati per ora senza successo in una causa civile per la proprietà intellettuale del sito: Kirkpatrick non li ha intervistati). In pochi anni Facebook è diventata una delle società con la più alta crescita annuale e continua ad avvicinare persone di ogni età, sesso, nazionalità e cultura. È passata dai corridoi di Harvard a 500 milioni di utenti in tutto il mondo, diventando parte della vita sociale e scaturendo effetti imprevedibili nella vita politica di tanti paesi nel mondo, dall’Iran, all’Egitto al Medio Oriente.

Kirkpatrick ha ricevuto le chiavi d’accesso per entrare nel regno di Facebook e ha descritto in questo libro - più di come ha fatto il film The social network - la sensazionale ascesa e i segreti. Partendo dalle manie personali di Mark Zuckerberg come le infradito sfoggiate ai piedi nei business meeting, ma anche le t-shirt e le felpe con la cerniera (altri suoi capi feticcio) alle regole sui cui è stata fondata la internet company: «Keep it simple» («Fai una cosa che tutti possano capire»), «Keep it working» («Falla funzionare»: da qui l’ossessione per l’efficienza dei server) e la terza che recita «Le persone sono più importanti della pubblicità» (e su questo si può discutere ampiamente).

Nel libro inchiesta di Kirkpatrick non mancano anche gli argomenti sensibili come l’immagazzinamento dei dati personali e la privacy (che però attiene anche alla capacità degli utenti di sapere come usare la Rete) e su come la Internet company fa soldi (con la pubblicità, appunto), la trasformazione dell’azienda e le aspettative future (la messaggistica trasformata in un vero e proprio account e-mail). Informazioni prese dal giornalista e scrittore grazie anche alla collaborazione dei principali dirigenti del social network, in primis il suo fondatore, con la sua genialità, la sua meticolosità e i suoi obiettivi non sempre trasparenti. «Grazie a Mark Zuckerberg - scrive Kirkpatrick -. Se non mi avesse incoraggiato a scrivere questo libro e se non mi avesse aiutato nel corso della stesura probabilmente questa pagine non avrebbero visto la luce. Con il procedere del lavoro, mi sono ripetuto spesso, e ho detto ad altri, che trovavo molto piacevole scrivere un libro su una persona che si impegna a fondo per la trasparenza, Mark si è sforzato di rispondere anche alle domande imbarazzanti».

E le recensioni americane, pur elogiando il libro di Kirkpatrick, non hanno mancato di sottolineare il suo eccessivo entusiasmo per Zuckerberg.

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DAVID KIRKPATRICK, Facebook. la storia Hoepli, Milano 2011, pp. 352, 19.90 euro

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