Segno e il linguaggio, un viaggio umoristico

Con testi di Loretto Mattonai e segni e pretesti di Maria Grazia Cabras «si tratta dei primi due volumi di un progetto più ampio che, sotto le costellazioni dell’umorismo, intende percorrere un itinerario “obliquo” attraverso le convenzioni del linguaggio e del segno»; così scrivono gli autori nella lettera di accompagnamento a Il Tipo sulla Torre di Pisa. La prima impressione è di freschezza e vivacità, affabulatoria e segnica, e questo non solo per la scrittura a mano in grossi caratteri stampatello e in strisce orizzontali solcate da segni-disegni, ma anche per la rivisitazione popolare di una lunga tradizione civile di tirate e apologhi sul potere piccolo o grande e sulla dimensione del questionare quotidiano, tenendo sullo sfondo le preoccupazioni ultime del vivere. Ed ecco la pagina riempirsi di personaggi e personificazioni: il Professor Profondo, il tizio sulla Torre di Pisa, Primierino, la maestra e tutto un brulicare di tipi e comprimari. Dominante, in questi due volumi, è l’andare a ruota libera con leggerezza e bonarietà fra un dettato assertivo, esclamativo e sornionamente interrogrativo, su più registri e dimensioni, ma con la risoluzione ironica sempre pronta. Una tradizione comico-umoristica mai spenta, che si rinnova e riprende scritture mai sopite in una felicità anche fisica dello scrivere. Apriamo una pagina a caso, in una si vedono due occhi di una civetta e una nuvola di colori, vi si legge: «Bambina- Perché la civetta ha gli occhi tondi? - Primierino - Perché è un po’ tonta di solito, chi ha gli occhi tondi è anche un po’ tonto - Bambina - Secondo me, ha gli occhi in tondo perché è sempre stupita del mondo».

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