Jean è un uomo che vive un presente opaco e ordinario: condivide un piccolo appartamento con un amico in cerca di fortuna a Parigi, ha una relazione routinaria con una donna che non ama, cura una rubrica che non legge nessuno per un quotidiano di provincia. All’improvviso si trova a fare i conti con il passato, che si manifesta nei panni di un’ex compagna di studi incontrata il giorno in cui questa trasloca nel suo palazzo. Si chiama Elisabeth, ma benché gli rammenti con dovizia di particolari episodi che provano un’antica frequentazione, Jean non la riconosce. E si rende conto di non ricordare quasi nulla del suo ieri, evidentemente banale e sfuggente quanto e più dell’oggi. Decide così di lasciare Parigi, cercando di fuggire da se stesso e di annientarsi. Cerca il luogo più anonimo e insignificante possibile e vi si rintana, nella speranza di «non trovare nessuno per strada, per provarmi che esistevo». Comincia da questo momento il suo tentativo di liberarsi del peso che quell’improvvisa epifania parigina ha collocato sulla superficie piatta e inconsistente – ma l’unica sin lì tollerabile - della sua vita. Solo un incontro gli permette di scorgere una via d’uscita dal tunnel: ancora una donna, Anne, promessa sposa del suo caporedattore. A Jean basta vederla una volta per immaginare di intrecciare con lei un’impossibile relazione. C’è dunque un segno di speranza – sembra dirci il 63enne scrittore francese Christian Oster - per Jean e per tutti quelli che, come lui, si trovano a vivere esistenze banali, vuote, scontate. C’è un raggio di luce che può squarciare il buio e filtrare dallo sguardo di un altro, da un gesto di attenzione, dalle labbra che sfiorano una fronte febbricitante, dalle mani che stringono altre mani sotto le volte imponenti di una cattedrale gotica.
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CHRISTIAN OSTER, Nella cattedrale, Barbès Editore, Firenze 2012, pp. 138, 14 euro
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