Se il contatto con la natura rigenera il genio

La natura è stata infinita occasione di scoperte e costante motivo di attenzione per molti scrittori, poeti e saggisti di stampo scientifico o umanistico, che hanno tratto sollievo e ispirazione da incantate e meditabonde perlustrazioni tra mari, montagne, boschi e praterie, sempre a caccia di miracoli offerti dal mondo animale o vegetale. Camillo Sbarbaro, il poeta ligure amato da Montale, fu grande appassionato di licheni, primordiali e pittoriche impronte di esistenza che colorano il mondo dell’inerte come forme di rinascita ostinata anche negli ambienti in cui l’aridità pressoché assoluta sembrerebbe non trovare antagonisti. Ernst Jünger fu notevole entomologo, munito, nell’esercizio di raccolta e classificazione dei suoi campioni, della stessa calma celestiale, e inquietante, con la quale si aggirava nelle tempeste d’acciaio dei fronti bellici della seconda guerra mondiale. Vladimir Nabokov, la cui grazia stilistica tocca impressionanti vertici di precisione e fluidità, si dedicò per tutta la vita a raccogliere farfalle, e in questa antologia di scritti sulla natura curata dal naturalista e professore di liceo a Torino Matteo Sturani, dà testimonianza della sua adorata malattia in uno scritto di grande bellezza, che rende conto e supera il tema trattato per illuminare il senso profondo di un costante impegno volto all’osservazione e alla ricreazione della vita. «Confesso di non credere nel tempo - scrive Nabokov -. Dopo l’uso mi piace ripiegare il mio tappeto magico, così da sovrapporre l’una all’altra parti diverse del disegno. E che i visitatori inciampino pure. E la gioia più grande dell’assenza di tempo - in un paesaggio scelto a caso - viene quando mi trovo tra farfalle rare e piante di cui esse si nutrono. È quella, l’estasi, e dietro l’estasi c’è qualcos’altro difficile da spiegare.

È come un vuoto momentaneo in cui si riversa tutto ciò che mi è caro. La sensazione di essere tutt’uno con sole e pietra. Un fremito di gratitudine rivolto a chi di dovere - al genio contrappuntistico del destino umano o ai teneri spettri che assecondano un fortunato mortale.» Mirabile è pure il brano del naturalista francese Jean-Henri Fabre, che racconta un’ascensione al monte Ventoux con tutta la serie di difficoltà e regali che costellano il percorso della smilza, avventurosa comitiva di esploratori. Piacevolissimi incontri e al tempo stesso inviti a ulteriori approfondimenti sono i passi di importanti autori contemporanei come Jonathan Franzen o Robert Mcfarlane, uno dei più apprezzati narratori di viaggio inglesi, che conferisce piena dignità di personaggio autonomo al bosco, di cui racconta il progressivo assottigliarsi lungo il corso dei millenni. Una poetica trasfigurazione del paesaggio rurale cileno osservato con occhi di bambino è il frammento di prosa tratto dalle memorie di Pablo Neruda, mentre colme di fantastica quanto scrupolosa esuberanza sono le incursioni nella nomenclatura di comuni e rari bacherozzi stilata dal pirotecnico maestro dell’Adalgisa, Carlo Emilio Gadda. L’antologia einaudiana è libro ideale per fruizioni capricciose, da depositare e ripescare secondo l’estro del momento, navigando tra l’uno e l’altro dei trentadue signori che contiene e scivolando di tanto in tanto verso quella decina di pagine centrali, prezioso spartiacque dove è riprodotta una buona scelta di nature morte che riprendono dettagli in apparenza marginali di paesaggio, insetti, cibo e scarti di vario genere, dai fiammiferi ai ritagli di giornale alle piume perse da un uccello: cammei pittorici frutto delle poetiche contemplazioni di Mario Sturani, nonno del curatore e capostipite di un’eccentrica dinastia di naturalisti.

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Matteo Sturani, Pietre, piume e insetti. L’arte di raccontare la natura, Einaudi editore, Torino 2013, pp. 409, 21 euro

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