Saga nell’anima dell’America delle “dissidenti”

Dal Comunismo degli anni Trenta fino a Occupy Wall Street: l’America diventa una parabola di perplessità, aspettative deluse e speranze di rivoluzioni mancate nell’ultimo imponente romanzo di Jonathan Lethem, I giardini dei dissidenti . Due donne danno il via a questo viaggio di oltre mezzo secolo che racconta cosa significa essere radicali nella politica, ma partendo dal destino di una famiglia: Rose Zimmer, ebrea polacca comunista, intransigente con sé e con gli altri, regina-despota dei Sunnyside Gardens nel Queens, e sua figlia Miriam, sognatrice hippie che predilige, per sfuggirle, la cultura “altra” del Greenwich Village. Accanto a loro, come satelliti in movimento, mariti, figli, amanti, nipoti e, sullo sfondo, un’America che scalpita, senza sapere come maneggiare tanto radicalismo. Al traguardo dei 50 anni, l’autore sembra offrire su un piatto d’argento la chiave per entrare nel racconto della sua vita (cresciuto in una comune di Brooklyn, è figlio di un’attivista politica di famiglia ebrea e di un artista). Ma sarebbe troppo semplice: la finzione narrativa fa lo fa scavare in profondità nella storia recente del suo Paese, al di là di sogni e mistificazioni. Il primo dissidente è proprio l’autore, il cui atteggiamento nei confronti delle sue creature denota un misto di disincanto, biasimo e benevolenza: ogni personaggio viene messo a nudo per com’è e Lethem, mentre viene a patti con i suoi fantasmi, non fa sconti a nessuno. Sia quando inchioda ognuno dei suoi finti eroi alle proprie responsabilità, sia mentre racconta - ed è brutale - le loro piccole grandi debolezze, o ancora quando, liricamente, abbraccia con la penna l’eternità di alcuni stati d’animo. Il lettore si troverà di fronte a una carrellata di ritratti indimenticabili, piccoli mondi visti al microscopio da un talento eccezionale: non solo le due protagoniste, Rose e Miriam, ma anche il corollario di uomini che ruotano loro intorno. È vero, le donne sono la parte più forte del romanzo: sono loro che compiono le scelte più radicali, lasciando il “panorama maschile” sempre un passo indietro. Ma se gli uomini restano impantanati nel proprio guano di indolenza, mancanza di coraggio o inadeguatezza, non sono certo i soli a essere irrisolti. Perché irrisolte, accanto a questa famiglia matriarcale, sono anche le istanze politiche dietro le quali molte vite si sono consumate lentamente.Lungi dall’essere un romanzo facile - e non solo per i tanti, precisi riferimenti alle vicende storiche, ma anche per lo stile evocativo, metaforico, che lega con disinvoltura diversi piani temporali e punti di vista dei personaggi - I giardini dei dissidenti può disorientare. Dalla saga familiare si rimbalza nelle viscere della Grande Storia: sembra un attimo perdersi, e invece ogni filo si riannoda, capitolo dopo capitolo, fino al momento in cui ci si rende conto di trovarsi di fronte a un romanzo che abbina gli ideali al quotidiano. I rapporti umani sono fragili come oggetti di cristallo e qualcuno può rompersi in modo irreparabile, altri invece possono essere rimessi insieme con qualche rattoppo. È sempre una sfida, difficile sì, ma nessuno - sembra dirci Lethem - in questa vita può davvero tirarsi indietro. La stessa cosa accade con le ideologie, che il tempo rende insufficienti a risolvere domande e complessità. E se la soluzione è proprio lasciare ogni quesito senza una risposta, allora il lettore sarà libero di decidere da che parte stare. Ancora una volta, assumendosi il peso della scelta.

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Jonathan Lethemi, I giardini dei dissidenti, Bompiani editore, Milano 2014, pp. 554, 19,50 euro

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