Riflettere sull’islam senza sottomissione

Vianne Rocher è tornata. Ci sono voluti dodici anni, ma ne è valsa la pena. La cioccolataia più famosa della letteratura e del cinema, partorita dalla feconda penna di Joanne Harris e interpretata sugli schermi da Juliette Binoche, torna a vivere sulla carta, con un romanzo che toglie il fiato. Dimentichiamoci le atmosfere rarefatte di Chocolat, best-seller da 5 milioni di copie. A Lansquenet è arrivato il vento del Ramadan, e non porta niente di buono. Con una struttura narrativa divisa a due voci, quella di Vianne che torna al paese (con Anouk, la figlia ormai adolescente, e una nuova bimba Rosette avuta da Roux) e quella del Curato, la storia ci parla di identità, di incomprensioni, di difficili convivenze. È un romanzo duro, questo. Un romanzo che, se non fosse per la delicata ambientazione nella campagna francese, parrebbe una storia vera. Nel villaggio è giunta una piccola comunità di musulmani, poi è diventata sempre più grande, poi è comparsa la moschea, infine il minareto. Succede un incendio in una sorta di scuola islamica per fanciulle e tutti accusano il povero Curato che viene allontanato dal pulpito dal vescovo in persona. È allora che arriva Vianne, la sola in grado di capire come vanno davvero le cose: scoprirà storie orribili (quelle della sottomissione delle donne musulmane) e altre più lievi. Sotto la patina del romanzo lieve, la scrittrice inglese analizza con spietata lucidità la società contemporanea: il politically correct che impedisce qualsiasi confronto, la difficoltà di emancipazione delle donne, il tema della fede.

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JOANNE HARRIS, Il giardino delle pesche e delle rose, Garzanti, Milano 2012, pp. 434, 18,80 euro

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