Quel “vizio” così irresistibile di Sermonti

Se leggere è un vizio (purtroppo di pochi, almeno in Italia), lo è a maggior ragione scrivere (e qui sono invece in troppi a peritarsi nell’impresa). Vittorio Sermonti fa l’uno e l’altro da sessant’anni e lo fa, per la gioia della pur esangue schiera dei lettori, con risultati di indubbio valore. Nel 2009 alla prima attività dedicò il volume Il vizio di leggere (Garzanti), ora ci riprova con questa autoantologia (Il vizio di scrivere, ancora Garzanti), dedicata, per l’appunto alla scrittura. Un’opera imponente dove l’86enne autore romano- narratore, saggista, traduttore, regista, attore e gran divulgatore di classici - raduna in 650 fitte pagine alcuni importanti contributi della sua pluriennale attività. Una selezione effettuata sulla base del doppio criterio del gusto personale e della presenza in catalogo delle opere, per cui i lavori ancora reperibili sono rimasti esclusi mentre trovano posto testi da tempo difficili da rintracciare. Apre il tomo una selezione di brani dal romanzo giovanile (1954) La bambina Europa, cui segue la traduzione-riduzione teatrale della settecentesca opera Nathan il saggio di Gotthold EphraimLessing (titolo originale Nathan der Weise). Ampio spazio è quindi dedicato a Il tempo fra cane e lupo, raccolta di 89 racconti brevi (di cui si presenta qui una selezione di 41) interamente dedicati a Praga e usciti in origine per Bompiani, nel 1980. Si tratta dell’opera più amata dall’A. («è il libro più bello che abbia scritto in vita mia», confessa) anche se alla fortuna critica incassata - con commenti generosi di Giudici, Raboni, Manganelli per citare solo i principali - non ha minimamente corrisposto quella del pubblico, se è vero che la raccolta ha venduto - parole di Sermonti - «meno di tremila copie». Problema di tempi? Forse, certo è che questi brevi apologhi sono uno più bello dell’altro e regalano con acume, delicatezza e stile raffinato sorrisi a piene mani, ma anche spunti di riflessione sui vizi e le virtù degli uomini, a qualunque latitudine e in qualunque contesto/epoca si trovino a vivere. Ne basti uno, fra i più brevi, a guisa di esempio (Era operaio in una fabbrica): «Era operaio in una fabbbrica di pneumatici alla periferia est di Praga, zona Solidarita, e non seppe mai. Sposò giovane, amò sua moglie e i funghi con imparzialità, non coltivò alcun rancore per i figli che non gli volevano venire; bevendo birra di dodici gradi finiva sempre per sorridere; nel complesso era molto gentile e leale; morì a giugno di un male che non gli vollero dire, e lui non volle sapere. Non era né uno sciocco né un bambino, frequentava cinematografi, leggeva romanzi, atlanti e giornali, il suo paese lo conosceva abbastanza bene, durante le ferie era stato anche in Romania, in Austria e in Italia; tuttavia, in coscienza, non aveva mai pensato che un uomo potesse essere altro che un operaio d’una fabbrica di pneumatici alla periferia di Praga (periferia est)». Fra le altre opere qui adunate ricordiamo una coraggiosa traduzione del Tartufo di Molière (con l’alessandrino francesce spezzato in doppi settenari rimati anche fra loro), alcuni interessanti estratti da un mai finito lavoro critico dedicato alla poesia (La cosa poesia), un gustoso e irriverente omaggio a Leopardi (Giacomo mio, salviamoci!), la “riscrittura” in altrettanti mini-racconti di 14 opere verdiane (Sempreverdi) e cinque “coccodrilli” dedicati a importanti figure del mondo della cultura e dello spettacolo venute a mancare. Ce n’è per tutti i gusti. Viziati del bello scrivere accorrete numerosi!

Vittorio Sermonti, Il vizio di scrivereRizzoli, Milano 2015, pp. 651, 23 euro

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