Quattro secoli della Grande Mela

Dallo scippo delle terre ai nativi all’attacco terroristico alle Torri Gemelle, New York vive nelle pagine di Rutheford

Anche se sembra paradossale, la New York descritta nell’omonimo romanzo di Edward Rutherford apparirà al lettore infinitamente piccola: nel succedersi degli eventi, continueranno infatti, più o meno casualmente, ad incontrarsi diverse generazioni di famiglie, a dispetto della vasta area geografica in cui si svolgono le vicende narrate e dei quasi quattro secoli in cui queste hanno luogo. Saranno infatti i Master, gli O’Donnel, i Keller ed i Caruso ad incarnare simbolicamente oltre trecento anni di immigrazione europea negli Stati Uniti.Già autore di corposi volumi come London (1997) e I principi d’Irlanda (2004), lo scrittore inglese svela ora, attraverso gli occhi dei suoi personaggi, le vicissitudini storiche che hanno segnato la Grande Mela fin dalla sua fondazione. «Nuova Amsterdam non era grande: un forte, un paio di mulini a vento, una chiesa con una guglia appuntita; c’erano un abbozzo di canale, in realtà più simile a un ampio fossato, e qualche strada fiancheggiata da case con il frontone a gradini che, insieme ad alcuni modesti frutteti e orti, erano racchiuse de

ntro un muro che correva da ovest ad est attraverso la punta meridionale di Manhattan». Fu questo il panorama oggi inimmaginabile che si spalancò davanti a Thomas Master, quando giunse a New York nel 1664, dopo aver lasciato per sempre l’Inghilterra. Figlio ribelle di una facoltosa famiglia di Boston e tornato in patria nonostante l’ostilità dei parenti, questo giovane un po’ scapestrato diventerà, anche grazie al commercio di schiavi, il capostipite di una ricca progenie che sarà protagonista di tutto il romanzo. L’attuale megalopoli, sorta per mano degli olandesi e chiamata originariamente Nuova Amsterdam, era allora poco più di un paese e nei suoi territori gli europei convivevano con la popolazione indiana, a cui avevano strappato la terra con l’inganno. L’insediamento di Manhattan era nato, infatti, da un equivoco: gli indigeni avevano accettato dagli olandesi alcune merci, credendo che fossero una sorta d’affitto per il diritto a condividere i propri territori di caccia per una o due stagioni. Poiché il concetto di proprietà era a loro del tutto estraneo, l’idea che quegli uomini bianchi stessero acquistando la terra per sempre non avrebbe potuto nemmeno sfiorarli e gli olandesi non si preoccuparono affatto di chiarire le proprie intenzioni. Questi ultimi vennero a loro volta soppiantati dagli inglesi nel governo della città con una guerra, che sarà la prima di una serie di eventi bellici destinati a far soffrire New York: seguirono infatti la lotta per l’indipendenza e quella per la secessione, poi, con il trascorrere degli anni, il primo ed il secondo conflitto mondiale, infine, nel 2001, la città fu dilaniata dal terrorismo e dal crollo delle Torri Gemelle. I componenti della famiglia Master si troveranno sempre al centro della scena e, pagina dopo pagina, il lettore verrà letteralmente avvinto dalle loro vicende. Infatti, nonostante il romanzo di Rutherford sia veramente lungo, non annoia mai: l’autore riesce a dotare i suoi protagonisti di profili psicologici sempre nuovi, credibili ed allo stesso tempo originali, e sarà attraverso i loro occhi che si potrà conoscere più da vicino personaggi storici come Washington o Lincoln, nonché approfondire il punto di vista della gente comune durante momenti nevralgici per la città, come l’incendio alla fabbrica Triangle, che ha dato origine alla festività dell’otto marzo, o la costruzione dell’Empire State Building. In questa cavalcata attraverso la storia, ad unire Thomas e Ghoram Master, il capostipite e l’ultimo discendente della famiglia protagonista, sarà, oltre al sangue, un profondo anelito di libertà: lo stesso sentimento che ha sempre animato la città di New York ed a cui sarà intitolato il grattacielo che sorgerà al posto delle Torri Gemelle.

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EDWARD RUTHERFORD, New York, Mondadori, Milano 2010, pp. 984, 23 euro

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