Quando la parola ha potere

Credere ancora nel potere della parola e della poesia. È la sfida che lo scrittore Jon Kalman Stefánsson, considerato il nuovo grande talento della letteratura islandese, percorre ne La tristezza degli angeli, secondo capitolo della trilogia cominciata con Paradiso e inferno con cui è finalista alla seconda edizione del Premio Grinzane Bottari Lattes, la cui premiazione si svolgerà il prossimo 13 ottobre.

«Ci sono parole che sembra quasi abbiano perso il loro significato con l’uso. È il caso di ‘amoré che la mente associa immediatamente a ricordi, film, citazioni, canzoni. A volte si può avere la sensazione che ci sia un gap tra quello che uno sente e quello che dice. Questo può essere molto frustrante per un autore ma, al tempo stesso, può essere una sfida eccitante trovare di nuovo l’energia e il potere delle parole» spiega all’Ansa Stefánsson, che è stato uno degli autori rivelazione del Festivaletteratura di Mantova, da poco concluso. Il postino Jens, scampato per miracolo alla furia di una bufera di neve, nei lunghi inverni d’Islanda, e un giovane alla ricerca di sé, che crede nel potere salvifico delle parole, sono i protagonisti de La tristezza degli angeli che mette in scena la loro estrema missione per portare la posta nei lontani fiordi del nord. «Bisogna provare, a volte, a fare cose impossibili con le parole. Il protagonista del mio romanzo è fortunato perché è giovane e innocente - dice Stefánsson - e quindi crede ancora nel potere della parola e della poesia e io cerco con questo romanzo di fare in modo che anche il lettore ci creda». Ex insegnante e bibliotecario, l’autore di Reykyjavik, 49 anni, è passato alla narrativa dopo tre raccolte di poesia. Dimostra molti anni in meno della sua età ed è timido e dolce nel sottolineare che «la poesia, a differenza della narrativa, non può contare sui personaggi e sulla storia. L’unica cosa che ha la poesia sono le parole e il poeta deve usarle in modo che abbiano maggior peso rispetto alla narrativa. Per questo i migliori poeti sono molto vicini alla musica nei loro versi. Ed ecco perché preferisco leggere Friedrich Holderlin in originale: anche se non capisco bene il tedesco, sento la musica della sua poesia». Se sei un vero scrittore, per Stefánsson «hai l’istinto di creare un buon personaggio. Per esempio non avevo pensato al postino de La tristezza degli angeli come a una figura simbolica, ma quando il libro è stato pubblicato in Islanda me lo hanno fatto notare molte persone che era così. Spesso i lettori sono più intelligenti degli scrittori». Il viaggio che compiono il postino e il ragazzo unisce le loro solitudini inconciliabili, ma soprattutto ci porta alle origini dell’esistenza, dove si scatena la lotta fra luce e tenebre. «Le nuove tecnologie ci fanno ogni volta credere di poter vedere più lontano delle generazioni precedenti. Abbiamo sempre la sensazione - afferma lo scrittore - di avere una visione più profonda e complessa di chi ci ha preceduto. È vero che oggi, in qualsiasi posto del mondo uno si trovi, può comunicare con chiunque. Questo ha cambiato tutto, è stata una rivoluzione ma, se guardi le cose da molto vicino, più accuratamente, capisci che non è cambiato nulla rispetto alle cose fondamentali della vita. La natura umana è rimasta la stessa di migliaia di anni fa». «Quando sei a casa e ti devi confrontare con un dolore, la morte e la sofferenza, la tecnologia non può fare nulla ma, forse, le parole ti possono confortare. Se capissimo questo potere potremmo diventare qualcos’altro». Nel 2013 per Iperborea uscirà il volume che completa la trilogia il cui titolo in italiano dovrebbe essere, più o meno, Cuore d’uomo o Cuore di un uomo.

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JON KALMAN STEFÁNSSON, La tristezza degli angeli, Iperborea, Milano 2012, pp. 362, 17.50 euro

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