Quando la vita ci rende feroci e senz’anima

È raro che un titolo aderisca perfettamente al libro che lo “indossa”. Ma questo è, senza ombra di dubbio, uno di questi casi rari. La ferocia, infatti, è il titolo scarno, essenziale, acuminato, scelto da Nicola Lagioia a cappello del suo ultimo romanzo. E vi si attaglia come un vestito sartoriale, cucito su misura e senza spiegazzamenti. Perché è la sintesi perfetta, e terribile, del volume: una lenta e angosciante scorreria nel deserto di dolore e mal di vivere in cui affondano le esistenze di Vittorio Salvemini, ultrasessantenne immobiliarista senza troppi scrupoli, e dei suoi quattro figli. Sono loro (la madre è figura secondaria seppur al centro di pagine dolentissime in una breve parentesi della narrazione) i protagonisti dell’ultima fatica letteraria dell’autore barese, fresco di meritata candidatura al premio Strega per conto di Einaudi. E sono loro che combattono, spesso scompostamente, la propria personalissima e durissima battaglia per dare un senso alla propria vita. Questo - va detto - è un libro che fa male, letteralmente. Proprio come una belva feroce: prima azzanna e poi lacera e strappa, lentamente ma inesorabilmente, le sicurezze del lettore, arrivando a suscitare una sofferta empatia con le fatiche e le pene di Michele e Chiara, i due fratelli stretti da un legame malato (ma forse è l’unico sano...) che va oltre la morte drammatica di lei. Ma è un libro che induce anche a solidarizzare con le feroci battaglie del capostipite Vittorio per stare a galla nel mondo sporco, torbido e corrotto degli affari; che spinge il lettore a ritrovarsi nelle ambizioni del primogenito talentuoso Ruggero e a condividere le pene dell’ultima nata Giulia, sul cui universo fragile e incerto di giovane donna si abbatte la tragica fine della sorella, fino a stendervi una coltre spessa, scura e senza squarci apparenti di sole. È un universo umano vario e difforme, che gravita attorno alla lussuosa villa di Bari costruita dal “patriarca” e al mondo di medici, commercialisti, avvocati, giudici e politici che come tanti satelliti sfruttano la luce opaca del danaro dei Salvemini. Quello stesso danaro che non salva, ma anzi corrompe fino a distruggerle le vite di Chiara e Michele, le cui anime così inestricabilmente intrecciate sono altrettanto inestricabilmente impastate del dolore di non sentirsi amate abbastanza. Lagioia, 43enne scrittore scoperto qualche anno fa da quella fucina di talenti che è l’editore Minimum Fax, ha dato alle stampe un romanzo importante; certamente fra i migliori dell’ultima stagione letteraria. Un romanzo costato molta fatica (l’A. ha ammesso di averci dedicato 4 anni) a partire dalla costruzione dell’intreccio su più piani spazio-temporali e senza cesure evidenti che richiede non pochi sforzi di comprensione anche al lettore, talora obbligato a tornare indietro di qualche pagina per districarsi nella trama. Ma è anche la scrittura a palesare il minuzioso lavoro di Lagioia, che cura al cesello lessico e sintassi senza nulla lasciare al caso. In questo talora risultando addirittura un po’ artificioso e ridondante. Ma se la fluidità non è sempre garantita, a non mancare mai è la qualità del periodare e la personalità dello stile. Che fanno dell’autore pugliese una voce fra le più interessanti del nostro pantheon letterario. Elena Ferrante, stiamone certi, ha trovato il suo più forte rivale.

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Nicola Lagioia, La ferocia, Einaudi, Torino 2014, pp. 411, 19.50 euro

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