Quando gli italiani fecero davvero l’Italia

La voce di Alberto Maria Banti è riconosciuta come tra le più autorevoli nel campo della storiografia risorgimentale. Fuori da inutili retoriche e preconcetti ideologici, ci consegna un diario della mistica risorgimentale originale e incalzante. La base teorica da cui muove questo saggio è chiara fin da subito: «La nazione non è un dato di natura». Affinché quest’artificio possa prendere piede all’interno di una comunità di uomini, è necessaria la presenza di grandi personalità capaci di creare figure e forme narrative estremamente seducenti. Questo perché «le narrative nazionali sanno emozionare e trasformare l’originario assunto discorsivo da remota astrazione in qualcosa che sembra avere lo spessore di un’effettiva realtà». Se il 17 marzo 1861 l’Unità d’Italia potrà dirsi sostanzialmente raggiunta, sarà proprio grazie all’efficacia e capillarità con cui fu promossa. «Le stelle dello star-system intellettuale dell’epoca» seppero creare un discorso politico altamente innovativo in grado di fare breccia nel cuore del popolo. L’arte, il mito, l’iconografia e la letteratura si misero al servizio del messaggio che si voleva incoraggiare, riuscendo a smuovere animi e coscienze grazie al loro impatto emotivo. Una composizione che seppe radicarsi in maniera così organica da essere utilizzata anche in seguito: prima per cementare l’unità nazionale, poi per spingere il paese dentro la Grande Guerra e infine per sostenere il fascismo. L’autore riconosce tre figure profonde su cui si articola il discorso nazional-risorgimentale: la nazione come parentela/famiglia, la nazione come comunità sacrificale, la nazione come comunità sessuata. In queste è nata la nostra identità d’italiani.

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