Piovani, Fellini e i “pericoli” della musica

Lo aveva già spiegato Lev Tolstoj nelle mirabili pagine della Sonata a Kreutzer che la musica è pericolosa, capace di creare profondi turbamenti. «La musica è pericolosa come l’amore per le cose belle, per le cose importanti, le storie d’amore, le curiosità alte - racconta Nicola Piovani - perché, quando ci si lascia andare, e si rischia e si va oltre le colonne d’Ercole, la vita stessa è sempre pericolosa. Naturalmente questo non vale per la musica generica, di sottofondo, che non presenta alcuna insidia, come tutte le cose superficiali», quella che ci propinano in negozi, stazioni, supermercati e contro cui il compositore si lancia anche nelle pagine del libro, in nome della riscoperta dei rumori naturali, della vita e delle voci degli altri. La musica è pericolosa, così ha intitolato un suo libro di ricordi e riflessioni partendo da quanto gli diceva Federico Fellini che, quando non la ascoltava per lavoro, la pativa, era vulnerabile alla musica e facile a commuoversi. Sono duecento pagine di «ricordi casuali, che non sono una vera autobiografia», tanto è vero che mancano tappe importanti come la serata dell’Oscar per La vita è bella e incontri sostanziali, da quello con Nanni Moretti a quello con Marco Bellocchio, mentre sono solo citati Paolo e Vittorio Taviani, presenti alla libreria dell’Auditorium per la presentazione del libro, condotta da Giancarlo Leone. «Un racconto senza mai un’esagerazione, quasi scritto con pudore e un filo di ironia davanti a personaggi e avvenimenti tali che a

vrebbero giustificato anche un po’ più di presunzione», sottolinea Leone.I ricordi e le curiosità si sprecano, dalla sera in cui ancora molto giovane si trovò casualmente ad accompagnare al piano Vittorio De Sica che cantava Parlami d’amore Mariù(Che tonalità? gli chiede. Faccia lei, la risposta. «Tanto, quando con non arrivava all’acuto con la voce, proseguiva il canto con un ampio, meraviglioso gesto della mano») a una registrazione in studio con Mastroianni che interpreta Caminito o, sul set, che nasconde sigarette dappertutto, anche nel pianoforte di Piovani, per averle a portata di mano ad ogni minima pausa. Il musicista ricorda, ma anche attacca, «l’abuso di allegretto della VII di Beethoven o dell’adagio di Mahler a teatro, nella pubblicità e così via, con un uso che è simile a quello che dell’arte, per sembrare colti, facevano i miliardari texani che stampavano sugli asciugamani del bagno La Gioconda», ricostruisce la fantastica e complicata storia di My waye parla del mondo della canzone, che produce cose magnifiche come Yesterday, ma anche «tanta morchia che talvolta sommerge e nasconde i talenti che pure vi sono», racconta come nacque «quanto ti ho amato» con Vincenzo Cerami e Benigni.Infine, sollecitato da Leone, ricorda che sul suo profilo Twitter è scritto: «Non sono su Facebook e non sono ateo», come invece sostiene la sua biografia su Wikipedia. L’ultimo capitolo del libro è così dedicato proprio al suo aver ripreso «a interessarsi della sacralità della vita... Se ascolti dentro di te, insomma, qualcosa senti, ma appena provi a verbalizzarlo, a ingabbiarlo nel perimetro angusto della logica, svanisce». E i Taviani intervengono per dire che è proprio quello che accade ascoltando la sua musica, che ha una forte spiritualità, crea un contatto con qualcosa di immateriale, come sempre l’arte vera.

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Nicola Piovani, La musica è pericolosa, Rizzoli, Milano 2014, pp. 194, 17 euro

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