Pescatori di uomini nella Cina moderna

Uomini come pesci. Da prendere all’amo, lanciando la giusta esca e aspettando con inossidabile pazienza che abbocchino per poi rigettarli in abissi più neri dell’oceano di povertà e disperazione da cui sono emersi: nelle viscere di una miniera di carbone. E lì provocarne (anticiparne?) la morte per incassare l’indennizzo. Sono “pescatori di uomini” senza scrupoli i due protagonisti di questo crudo e aspro romanzo di Liu Qingbang (tradotto da Barbara Leonesi) da cui nel 2003 Li Yang trasse il film Blind Shaft , Orso d’argento al Festival del Cinema di Berlino. Discepoli di morte guidati dal solo idolo del denaro che li spinge ad adescare braccianti con una promessa di lavoro, a condurli in cave clandestine spacciandosi per loro parenti salvo poi ucciderli senza pietà in fondo a un cunicolo e riscuotere il risarcimento dai proprietari. Poche migliaia di yuan per la loro misera vita. Tang Zhaoyang e Son Jinming si muovono come faine nello sterminato pollaio della Cina rurale, dove stuoli di contadini sono pronti a tutto pur di uscire da una condizione di bisogno nemmeno sfiorata dal vento del progresso. Schiacciano le loro vittime senza pietà finché l’ennesimo agnello sacrificale, un giovanissimo orfano in cerca di fortuna, non finirà per risvegliare in uno di loro un barlume di coscienza, lavando via con la polvere di carbone e il sudore, anche lo sporco di un’anima sotto il cui apparente gelo covava ancora la brace dell’umana pietas .Con un linguaggio duro, perfettamente aderente alla volgarità e al cinismo dei suoi “attori”, Liu Qingbang offre in queste pagine una lucida e spietata denuncia dei mali della Cina profonda e, più universalmente, delle ferite che povertà, disperazione, materialismo, aprono nel cuore dell’uomo.

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LIU QINGBANG, Legno sacro, ObarraO Editore, Milano 2012, pp. 129, 13 euro

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