Per Elena Rausa la “redenzione” di un doppio lutto

È una storia di salvezza e di “redenzione” questo intenso romanzo di Elena Rausa, 44enne insegnante liceale a Milano, pubblicato da Neri Pozza. Un libro d’esordio di grande maturità – anche stilistica - , che non ha avuto l’eco che merita, forse perché etichettato frettolosamente come “femminile”, mentre i temi che tratta varcano, e di molto, la sottile soglia del genere, spaziando dal dolore personale a quello collettivo, dal microcosmo dell’individuo al respiro ampio della storia, fino a sfiorare il senso ultimo delle cose. Camminando mano nella mano con la piccola Marta sulle pietre viscide di una memoria riesumata dal fragile forziere dell’oblio, sull’altra sponda del torrente (di cui il titolo) mette piede anche Emma, la psicanalista chiamata a restituire alla bambina la parola e, con essa, una possibilità di futuro oltre il dolore, oltre il lutto per la perdita della mamma. Il romanzo, ambientato nell’ormai lontano 1982, incrocia due vicende che ruotano attorno al presente e al passato di Emma Donati, psicanalista infantile dai capelli ormai grigi e con il fardello ingombrante del lager (cui è sopravvissuta, diversamente dagli amici del tempo) da portarsi appresso senza aver tentato fino in fondo di esorcizzarlo, ma preferendo piuttosto seppellirlo in un cantone della memoria. La donna è chiamata ad affiancare in un delicato percorso di analisi la piccola Marta, 7 anni e mezzo, un padre mai conosciuto e rimasta orfana dopo la tragica scomparsa della madre (vittima di un incidente stradale insieme con l’amante violento).La dottoressa, sposata con un uomo cui ha sempre chiuso la porta d’accesso ai suoi segreti più reconditi ma che ciononostante l’ama di un amore disinteressato e profondo, si prende cura della bambina, chiusasi in un mutismo di protesta contro un dolore al quale non sa reagire in altro modo. E in lei, in quel suo modo primordiale di rispondere alle batoste della vita, finisce per trovare assonanze di un approccio al lutto – di fatto la sua negazione - che gradualmente, e con il conforto di un collega e maestro, decide di accantonare, affrontando di petto, per suturarla una volta per tutte, quella ferita che pensava cicatrizzata e che invece continuava da quarant’anni a distillare in lei - nella forma del silenzio ostinato - il suo calice amaro di angoscia e sofferenza mortifera.Nella parte iniziale del romanzo il presente di Marta, sballottata tra la colorata e festosa famiglia affidataria e un nonno premuroso ma mai conosciuto prima, si alterna con il passato di Emma, arrestata giovanissima sulle montagne della valle d’Aosta e poi deportata in un campo di lavoro tedesco insieme alla migliore amica e al primo amore, compagni di avventura negli anni della guerra. Quindi il presente prende il sopravvento e l’occhio attento dell’autrice si sofferma sul rapporto fra Marta ed Emma e sulla sua evoluzione, che regala ad entrambe un’inattesa, quanto inconsciamente bramata, via d’uscita dai propri incubi più profondi. Elena Rausa si dimostra una scrittrice di grande finezza psicologica, capace tuttavia di una narrazione piana e lieve, mai oscura o concettuale, dosata nei cambi di ritmo e di tempo, accurata nel dettaglio, delicata nel tratteggio e sostenuta da una scrittura levigata e matura. Speriamo di rivederla presto all’opera.

Elena RausaMarta nella correnteNeri Pozza, Milano 2015, pp. 270, 16,50 euro

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