Oro nel piatto, il cibo secondo Andrea Segrè

Per non sprecare, così come per mangiare bene, devi essere educato. Inserire l’educazione alimentare nei piani scolastici sarebbe un passo fondamentale per crescere nuove generazioni con modelli alimentari come la dieta mediterranea, che siano di salute personale e anche globale visto che cultura del cibo e cultura del non spreco vanno di pari passo. Andrea Segrè, agronomo, ideatore del Last Minute Market, capofila europeo nella lotta allo spreco e anche presidente del comitato scientifico del piano nazionale di prevenzione rifiuti, oscilla tra la soddisfazione per quanto si è fatto finora e in così poco tempo e la preoccupazione per quello che ancora non si riesce a fare anche come applicazione delle cose già varate. Einaudi ha pubblicato proprio in questi giorni L’oro nel piatto, un libro scritto con Simone Arminio in cui si viaggia alla scoperta di ciò che è un grande valore che a sua volta ne rappresenta tanti altri: il cibo. Ed è appena stata lanciata l‘edizione 2015 della campagna europea di sensibilizzazione, “Un anno contro lo spreco” dedicata a “Stop food waste. Alimentare il futuro”, promossa da Last Minute Market che resta l’unico progetto permanentemente dedicato alla lotta contro lo spreco alimentare in Italia.

«Siamo in una società di paradossi», racconta Segrè, bolognese d’adozione, presidente del centro agroalimentare di Bologna. «Adottiamo bambini che, dall’altra parte del mondo, muoiono di fame, e buttiamo ogni giorno - dice il professore - nel pattume chili e chili di cibo ancora buono, ottenendo un doppio risultato negativo: sprecare il denaro con cui lo abbiamo acquistato e produrre tonnellate di spazzatura che poi pagheremo, a caro prezzo, per farle smaltire. Intanto i piú poveri mangiano cibo spazzatura a basso prezzo». Nel libro Segrè riflette sulle stagioni del cibo: «Negli anni Ottanta e Novanta spopolava il culto del panino, del fast food, del cibo come bisogno da soddisfare il piú velocemente possibile. Una tendenza durata fino quasi a metà degli anni Zero. Gli anni Dieci hanno stravolto il sistema e ribaltato il tavolo. Sono arrivati i cuochi, anzi, gli chef, e i programmi di cucina, le sfide ai fornelli, arrivati in massa al paio con gli orti urbani, le piantine sul balcone, la voglia di fare da soli, magari con qualche aiutino. Per i costi che ha, una produzione biologica sarà sempre di nicchia, se non si allarga su grande scala. Il motivo è il prezzo del prodotto finale, che va necessariamente tenuto alto per poter ripagare una produzione complessa. Il passaggio a scala piú grande non si fa dall’oggi al domani. E nel frattempo? Nelle pause pranzo degli italiani, quasi mai c’è di mezzo uno chef penta-stellato. In medio stat virtus: non sarebbe meglio trovare la giusta via di mezzo tra la soddisfazione e il prezzo, tra la praticità e la qualità? Ci sarà un compromesso tra fast e slow? La pattumiera è diventata la metafora della nostra società tanto che, a un certo punto, c’è stato come un transfert sulla società stessa. Chi sono i poveri? Scarti della società, pattumiera sociale. Persone non piú buone, non piú in grado di mantenersi ancora sane. E dove vanno, perciò, gli scarti alimentari? Nella pattumiera o al limite nella mensa dei poveri, ad alimentare quei rifiuti della società. È scioccante ed eclatante: abbiamo esteso il concetto di diversità, di alterità del prodotto anomalo ma buono, del pacco di pasta non piú vendibile perché danneggiato eppure ancora buono, all’uomo che la società non accetta piú perché non è piú in grado di rispettare determinati canoni come lavorare, lavarsi e vestirsi bene. È il rifiuto del rifiuto: l’estensione del concetto dalle cose alle persone.

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Andrea Segrè, L’oro nel piatto, Einaudi, Torino 2015, pp. 191, 18 euro

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