Occhi di donna sulla Persia di ieri e di oggi

Nell’Iran attuale, Sudabeh è figlia di una famiglia benestante, che crede sia giusto trovare per lei un marito allo stesso livello. I pensieri di Sudabeh però sono occupati da un altro amore, distante, per censo e per formazione, dalle sue abitudini. Travolta dal tormento tra la passione e l’intenzione di non deludere i genitori, la ragazza si rivolge a una zia saggia e comprensiva, Mahbubeh, che l’accoglie aprendo un vecchio scrigno di ricordi. «Quando sei innamorata lasci che le cose vadano e vengano come vogliono, lasci che il mondo vada sottosopra oppure no: che importanza ha?», le dice la zia e a quel punto è già chiaro che La scelta di Subadeh è solo il prologo alla storia di Mahbubeh che, in un altro Iran, quello dello Shah, ha vissuto pene e fatiche d’amore simili e parallele a quelle della nipote. In un trionfo di giardini profumati, pranzi ricchi di sapori, dialoghi coloriti e allegorici, Mahbubeh racconta come ha schivato tutti i matrimoni combinati dalla famiglia, perché innamorata di Rahim, il garzone del falegname del quartiere. La separazione tra i sogni a occhi aperti dell’infatuazione e la dura realtà genera un corposo romanzo, nel quale i personaggi femminili imperano in tutte le direzioni. Il senso del melodramma con cui Fattaneh Haj Seyed Javadi sfoggia una scrittura florida e affascinante non le impedisce di collocare La scelta di Sudabeh nel contesto delle trasformazioni e delle contraddizioni dell’Iran del ventesimo secolo, lasciando al lettore il compito di farsi guidare nelle atmosfere avvolgenti del romanzo perché poi come dice Nazanin, la madre di Mahbubeh, «la bellezza è negli occhi di chi la possiede». Non è l’unica iperbole: tutta La scelta di Sudabeh è costellata di versi poetici, metafore, un florilegio linguistico che riflette l’intensa tradizione della narrativa dell’Iran, dove, come ha raccontato la stessa Fattaneh Haj Seyed Javadi, «la letteratura è all’ordine del giorno e anche le persone con un grado di istruzione relativo amano esprimersi attraverso versi e proverbi». Un motivo in più per l’esistenza della collana Gli altri, di cui La scelta di Sudabeh (con la traduzione di Anna Vanzan) è forse il volume più appariscente, che nasce con il proposito dichiarato di «indagare il vicino Oriente da dentro e di restituire una varietà di spaccati quotidiani, una polifonia di impressioni, di piccole lacerazioni e faticose conquiste». La collana ha esordito, oltre al romanzo di Fattaneh Haj Seyed Javadi, con il toccante Nelle stanze della soffitta di Tahereh Alavi, racconto della trasferta di una studentessa iraniana a Parigi, dove l’aspetta la facoltà di medicina, che si rivela l’inizio di una graduale metamorfosi, spinta e favorita dalle sollecitazioni della capitale francese. Oltre alle necessità quotidiane, la protagonista si deve confrontare, nella complessità della metropoli, con un’idea cosmopolita che non gli appartiene, e con i richiami della sua famiglia e delle sue radici, sempre più lontane. Un tema che ritorna, pur con sfumature diverse, anche nei prossimi volumi della collana, in uscita questo mese, i romanzi di Zahra ‘Abdi, A Teheran le lumache fanno rumore e quello di Leyla Qasemi, I giorni che ho vissuto, testimonianze vitali di donne che leggono e riscrivono il tragico corso delle loro storie.

Fattaneh Haj Seyed JavadiLa scelta di SudabehFrancesco Brioschi Editore, Milano 2017, pp. 464, 18 euro

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