Noah Hawley, vite sospese prima del vuoto

Frammenti di pittura, attenti alla cornice. Mentre salgono nel candore nebbioso – gli ultimi istanti prima della discesa, come nella breve pausa che vale tutto il giro sulle montagne russe – siamo già di fronte all’evidenza di due false piste. La prima. Entriamo in un thriller con elementi che richiamano il Crichton degli anni ’70, anche se come trama il più vicino è Punto critico del 1996: l’indagine sulla caduta di un aereo che coinvolge aspetti ingegneristici, mediatici, economici e politici. La seconda. L’espansione inattesa e inarrestabile dell’elemento umano: la coscienza contrapposta al sentimento, la concezione dell’eroismo e la messa in discussione dell’ideale.

Prima di cadere, con il suo labirinto di flashback e personaggi che complicano di molto il semplice plot di un aereo con pochi passeggeri a bordo e tanti motivi per inabissarsi nell’Atlantico. In racconto che a ogni curva ti lascia l’impressione di spalancare una nuova storia, perché scandaglia la vita dei personaggi coinvolti nel volo adombrando alibi, colpe e sospetti. Con un tocco di genio stilistico: l’esasperazione del dettaglio che nasconde l’informazione quasi casuale. Su una di queste, il puntiglioso Noah Hawley chiude il primo capitolo e apre un libro che valica con prepotenza il confine del genere d’intrattenimento estivo: «E mentre salgono nel candore nebbioso, e parlano e ridono, cullati dalle canzoni dei crooner anni Cinquanta e dal rumore di fondo della partita di baseball, nessuno di loro ha la minima idea che nel giro di sedici minuti il loro aereo precipiterà in mare».

La cura maniacale del dettaglio nella scrittura di Hawley può lasciare esterrefatti, o travolgere. Per capirci, non dice «prende in braccio il figlio», dice «sente le ossa del bacino di suo figlio nel palmo della mano, i due pioli delle gambe contro il fianco, il tepore del fiato che manda un brivido lungo la spina dorsale». Se fine a se stessa - immaginatevela per 500 pagine - questa “anatomia” di scrittura passerebbe rapidamente dallo stupore alla pedanteria. Non lo fa, mai. Questo spalancare porte sull’intimità pregressa dei personaggi, l’uso così contemporaneo del flashback, mette le figure – stavo scrivendo “l’attore”, dato che Hawley è anche il creatore della serie tv Fargo - in una situazione d’attesa che ricorda il clima de Il seggio vacante. Come nel poco confortevole romanzo della Rowling, anche in Prima di cadere passiamo il tempo ad accumulare tensione per il contatto con questa umanità divisa tra ideali (pochi), miserie, scorrettezze e complotti. Attendiamo che succeda qualcosa di eclatante, pagina dopo pagina meno probabile, meno importante.

In chiusura. La padronanza, anzi la noncuranza con cui approccia il genere thriller consente a Hawley cose impensabili, come prendersi interi capitoli per descrivere dei quadri. Sì, quadri. Uno dei personaggi fa il pittore e il suo background emotivo viene ricostruito a partire dalla descrizione dettagliatissima di alcune sue tele. Ecco il capitolo tre: «Sei sott’acqua. Piú in basso c’è solamente buio. In alto intravedi la luce, un grigio sfumato che dà sul bianco. C’è una grana in quelle tenebre, qualcosa di simile a una serie di croci nere che punteggiano il tuo campo visivo. Nell’angolo della cornice in basso a destra riesci a individuare un oggetto nero, scintillante, che riceve uno scampolo di luce dalla superficie. La punta di qualcosa di triangolare, qualcosa di primordiale che affiora. È il momento in cui ti rendi conto che le croci sono cadaveri».

Il bello è che subito dopo il protagonista si chiede «cosa succede quando la tua vita non può venire tradotta in una narrazione lineare?»: un manifesto del libro. Bene, succede che l’essere umano va in mille pezzi, luccicanti come lucciole accanto a un ruscello, fredde come le acque che gli scorrono accanto. Succede che sei sott’acqua, più in basso solo il buio.

Michele Zanlari

Noah Hawley

Prima di cadere

Einaudi editore, Torino 2017, pp. 472, 20 euro

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