Nelle mani degli ex alleati

In prossimità del novantesimo anniversario della Marcia su Roma compiuta dalle squadre armate del fascismo (28 ottobre), Mimmo Franzinelli, uno storico tra i più attenti alle vicende del ventennio nero, pubblica un’originale ricerca sul periodo finale della parabola del fascismo italiano: il tragico biennio della Repubblica di Salò (1943-1945), focalizzato sulla figura del suo capo, Benito Mussolini.

Le pagine dello storico bresciano svelano il Mussolini privato, i suoi sentimenti personali, la sua percezione e valutazione degli eventi al di fuori del ruolo di artefice di una Repubblica cui l’avevano costretto i tedeschi dopo averlo liberato dalla blanda prigionia estiva sul Gran Sasso. Il titolo del libro è esplicito nel dare di Mussolini l’immagine di “prigioniero”: controllato e spiato dai tedeschi, confinato sulla sponda di un lago con scarse possibilità di comunicazione, oppresso interiormente da una visione intrisa di pessimismo e fatalismo. Le fonti inedite più sorprendenti cui attinge Franzinelli sono le lettere che il duce inviò all’amante Claretta Petacci, ma anche i messaggi scambiati con i vertici del Reich in Italia, Karl Wolff e Rudolf Rahn. Se all’inizio della sua avventura sulla sponda occidentale del lago di Garda Mussolini era animato dalla volontà di incitare gli italiani al combattimento per salvare almeno l’onore, presto dovette prendere atto della diffidenza tedesca a ricostituire un esercito italiano, della freddezza della popolazione, della subalternità imposta alla Repubblica sociale italiana da parte dei tedeschi. A Claretta poteva confidare quello che mai avrebbe potuto esprimere in pubblico: «Io sono praticamente inesistente. La mia autorità è nulla. Il mio potere, zero» (5 dicembre 1943). Con Rahn protestava per l’invadenza tedesca nel campo politico-amministrativo che costituiva «una diminuzione grave dell’autorità del Governo fascista repubblicano e del suo prestigio» (25 gennaio 1944). La Petacci, animata da incondizionata tedescofilia, pungolava l’amante a rafforzare il filo diretto con il Führer, a ritrovare l’antica energia e svolgere il ruolo che la storia gli aveva assegnato. Ma Mussolini in tutta sincerità scriveva di sentirsi «considerato alla stregua di un Quisling qualunque, anzi, di peggio» (25 gennaio 1944), «un cadavere vivente» (4 febbraio 1944), «un personaggio ormai del tutto insignificante» (8 gennaio 1945). Inossidabile restava soltanto l’odio per i suoi nemici, «quei cani di anglo-americani» e i giovani «ribelli» che, allevati ed educati dal fascismo, gli si erano rivoltati contro.Sentendo avvicinarsi la fine dell’avventura Claretta aveva la lucidità di raccomandare al capo della Repubblica di Salò comportamenti dignitosi, spronandolo a decisioni coraggiose; ma soprattutto intuiva che il suo destino era quello del suo amante e che erano destinati a «morire insieme inevitabilmente».Il volume è arricchito da una appendice di 26 documenti, per lo più conservati nell’Archivio Centrale dello Stato, che illustrano diversi tentativi messi in atto per trovare una più adeguata collocazione della “capitale” della Repubblica e della residenza del duce; vi é anche riportato il testo integrale del discorso di Mussolini al teatro Lirico di Milano (16 dicembre 1944); ma anche una lettera del vescovo di Padova che il 12 dicembre 1944 protestava perché qualche giorno prima erano stati impiccati cinque resistenti senza che nessun sacerdote fosse stato avvertito per prestare l’assistenza religiosa e rilevava che «il doloroso fatto« aveva destato nella popolazione «raccapriccio e disapprovazione».Nelle pagine di Franzinelli si frantuma ogni possibilità di costruire il mito di un Mussolini tutto proteso a diventare catalizzatore del riscatto nazionale, intrepido nel proporre il sogno delle origini del fascismo: la repubblica e la socializzazione delle forze di produzione.

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MIMMO FRANZINELLI, Il prigioniero di Salò. Mussolini e la tragedia italiana del 1943-1945 - Mondadori, Milano 2012, pp. 202, 19 euro

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