Nel “puzzle” di Saer, fra labirinti e allusioni

Più che un romanzo, un puzzle senza immagine campione, fatto di tessere dai bordi indefiniti, sparpagliate in continenti lontani: alcune, color del sangue, sono sepolte sotto la neve di Parigi, dove 27 vecchiette sono già morte per mano dell’ignoto omicida su cui stanno indagando il commissario Morvan e il suo vice Lautret. Le altre sono nascoste fra le pagine dell’anonimo manoscritto su cui si interroga Pichon, un argentino da anni trapiantato a Parigi (proprio come Saer, nato a Serodino, Santa Fe, nel 1937 e parigino acquisito dal 1968 fino alla morte, nel 2005). Come in uno specchio deformante, le due storie si riflettono l’una nell’altra dando vita a un “giallo metafisico” che sfida il senso d’orientamento del lettore, chiamato a trovare un’autonoma via di fuga dal magistrale labirinto di analogie, presentimenti e allusioni in cui si dipana il libro. L’atmosfera enigmatica e inquieta fa propria la lezione di Borges, che rivive in una prosa colta, ricca, sapientemente cesellata, capace di tenere il passo dei grandi della letteratura mondiale.

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JUAN JOSÈ SAER, L’indagineLa Nuova frontiera Edizioni, Roma 2014, pp. 159, 15.50 euro

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