Munforte, terza prova nel segno del ritmo

Dalla scrittura fluida e a più registri, con un sicuro senso costruttivo e architettonico, il romanzo di Giuseppe Munforte (Milano, 1962) Il Cantico della galera, di argomento contemporaneo, tiene avvinto il lettore con il ritmo e il susseguirsi delle scene secondo una “partitura” visivo-musicale. Molto è lasciato agli aspetti osservativi, percettivi e psicologici, ma è la struttura “ritmica” che la fa da padrona con un senso vivo e plastico della lingua che sa rendere dinamica la narrazione da episodi estremamente icastici e duri ad una maggiore distensione narrativa. È questo di Munforte il terzo romanzo, dopo la prova d’esordio con Meridiano (Castelvecchi 1998) vincitore del Premio Assisi e La prima regola di Clay (Mondadori 2008). La trama è presto detta e la lasciamo alle parole dell’autore di un’intervista: «Quella ragazza sarebbe infatti diventata Sonia, sulla cui vicenda di adolescente si esercita in carcere la scrittura di Fausto, il protagonista del libro (un autodidatta, colto, con una forte passione per la letteratura) e di Davide, il suo grande amico, che di Sonia è il fratello. Poi, una volta fuori dal carcere, Fausto allaccerà una relazione con Nadia, una psicologa conosciuta dentro. Sarà un incontro tanto forte da rimetterlo al mondo. Un rapporto fatto di intelligenza, passione, intensità che lo strapperà dalla nuova, possibile galera di una vita senza lampi, fatta di giorni subiti passivamente. Ho seguito per tutto il libro lo svilupparsi di questo incontro, intrecciandovi tutte le altre vicende e facendone la polarità luminosa, del cambiamento e della voglia di essere ancora nel mondo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA