L’urlo di Latzko contro la follia di ogni guerra

Un grido di dolore e una denuncia dell’orrore. Della Grande Guerra e di tutte le guerre. Scritto da chi quell’orrore e quel dolore li visse in prima persona – in qualità di ufficiale dell’esercito austro-ungarico – decidendo di gettarli in faccia all’umanità, quasi a invocarne un sussulto di consapevolezza e di lucidità di fronte alla follia dilagante della violenza e del sangue versato a fiumi per quattro lunghi anni sui terreni di battaglia di tutta Europa. Andreas Lazko, ufficiale ungherese classe 1876, quel grido lo lanciò nelle 158 pagine di Uomini in guerra (titolo originale Menshen im krieg) quando ancora il primo conflitto mondiale era in corso, nel 1917, durante un periodo di cura trascorso in una clinica svizzera per guarire dalle ferite riportate nel corso di un bombardamento sul fronte italiano. Un urlo passato inascoltato – nonostante le numerose traduzioni del libro - e a lungo boicottato dalle autorità (il romanzo fu bruciato dai nazisti nel “rogo” del 1933) per la straordinaria forza della sua denuncia contro ogni violenza gratuita e disumana. Una denuncia condotta con una scrittura cruda e diretta, una narrazione dal forte impatto emotivo e una straordinaria ricchezza stilistica e lessicale, oggi rese splendidamente dall’ottima traduzione commissionata a Melissa Maggioni da Keller editore, cui va il merito di avere avviato – in occasione del centenario dallo scoppio del conflitto – un percorso di rilettura di quegli anni con un progetto di pubblicazioni e ristampe dai vari fronti europei intitolato “Confini”. Il romanzo, che si può affiancare alle migliori opere uscite su quella che Papa Benedetto XV definì l’«inutile strage» - da Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque a Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, fino al racconto La paura di Federico De Roberto -, è diviso in sei episodi che toccano altrettanti momenti dell’andare in guerra: la partenza per il fronte, l’arrivo in prima linea, il battesimo del fuoco per conquistare una trincea, l’assalto notturno, la disfatta, il ritorno a casa. Sei capitoli di un unico racconto di dolore, morte e nonsense che Latzko delinea con parole definitive e scene d’impatto cinematografico (come non pensare a certe sequenze della Grande Guerra di Monicelli…) che lasciano i brividi sulla pelle e il vuoto nello stomaco. Esemplare il confronto, nell’episodio del “Battesimo del fuoco”, tra il maturo capitano che coglie tutta la follia di una guerra che manda a morire milioni di padri di famiglia e ragazzi come fossero “materiale umano” da rovesciare sul piatto dei futuri accordi di pace, rivoltandosi già sconfitto contro siffatta aberrante logica; e il giovane tenente infervorato dalla retorica patriottica che vede solo onore e mostrine, si lancia impavido contro il nemico e i suoi stessi commilitoni troppo poco entusiasti, ma finisce anch’egli per infoltire le schiere di cadaveri assiepati uno sull’altro nelle trincee trasformate in enormi fosse comuni. Si legge d’un fiato, ma lascia senza fiato questo compendio di voci che gridano il loro corale “no“ alla violenza e lanciano un monito, cent’anni prima, a noi uomini del terzo millennio, di nuovo e sempre alle prese con «quei pezzi di ferro capaci di fare il lavoro di una malattia lunga mesi nel giro di pochi attimi». Una lettura imprescindibile per capire la deflagrazione che squassò l’Europa all’aprirsi del “secolo breve“, marchiandola in maniera profonda e indelebile

Andreas Latzko, Uomini in guerra, Keller editore, Trento 2014, pp. 158, 14,50 euro

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