L’Oscar e la Ilde, gli eroi normali di Andrea Vitali

Dal suo infinito canestro di storie, raccolte grazie a quello straordinario osservatorio di umanità che è il suo studio medico in riva al Lario, Andrea Vitali estrae un nuovo soggetto che più amaro (e vero) non si può. Una vicenda di ordinaria vita coniugale ambientata in una torrida estate del 1970 tra Bellano e Fino Mornasco, ma che potrebbe tranquillamente essere trasposta agli anni Dieci del Terzo Millennio, con la crisi economica che si mangia lavoro, dignità e relazioni. L’acuto “stetoscopio” del medico-scrittore scava con la consueta finezza psicologica, travestita da semplice e lineare racconto realistico, nella vita anonima di due trentenni. Ilda e Oscar (anzi «la Ilda» e «l’Oscar», come si usa dire in Lombardia, anteponendo l’articolo determinativo al nome): impiegata lei e operaio generico lui, costretto ormai da mesi all’inattività perché collocato in cassintegrazione dall’azienda che arranca sotto i colpi della congiuntura negativa. Succede così che l’uomo, messo in allerta dal ritrovamento fortuito e casuale della carta d’identità della bella moglie dove non dovrebbe essere, si scuote dal torpore dei pomeriggi trascorsi sul divano a sudare e guardare nel vuoto e cerca di fare luce sulla vicenda, fino a scoprire, sfogliando uno a uno gli strati della cipolla del disincanto, l’amara verità. Non sveliamo oltre per non togliere il gusto della lettura, che nel caso di Vitali vale sempre la spesa dell’acquisto del libro.

Questo grazie anche a una scrittura levigata, pulita, ironica, che si adagia come una camicia di sartoria al vestito delle storie che ormai da una decina d’anni il 56enne autore comasco propone con regolarità ragionieristica a un pubblico sempre più vasto e fedele.Una scrittura quasi cinematografica, che della vita riesce a offrire un “girato” immediatamente percepibile, ma mai banale, come solo la grande letteratura popolare sa fare. Basti, come saggio, la lettura di un paragrafo che dipinge con poche parole di grande efficacia la piega assunta dal rapporto coniugale fra l’Oscar e la Ilda, con il primo che, perso il lavoro, si sente scivolare via anche il ruolo di capofamiglia e la dignità di uomo. «La Ilde - scrive Vitali a pagina 43 - si dimenticava sempre qualcosa, soprattutto adesso che lavorava solo lei. Aveva i pensieri per due, diceva, faceva fatica a pensare a tutto. Anche prima, le aveva fatto notare l’Oscar una volta, anche prima quando lavoravano tutti e due. Ma prima era prima! E morta lì. In ogni caso prima, quando si dimenticava qualcosa, si arrangiava. Adesso invece telefonava. E lui doveva scattare. Era una meraviglia stare lì in casa ad aspettare che lei telefonasse per dire che si era dimenticata di prendere il Tigre (il detersivo, non i formaggini) o l’aceto o di portare in lavanderia la sua giacchetta da lavare o secco o di andarla a ritirare. Una vera bellezza, pensare che lui era a casa da solo a fare niente tale e quali ai bambini in vacanza, ai pensionati, ai morti che aspettavano l’ora del funerale, o ai disoccupati, appunto. D’altronde cosa poteva farci? Ribellarsi? Contro chi, contro che cosa?».Di certo non contro la moglie, perché di Ilda, nonostante tutto, «ce n’è una sola».

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Andrea Vitali, Di Ilde ce n’è una sola, Garzanti, Milano 2013, pp. 151, 14,90 euro

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