L’ora di pietra di un giorno di noia

La questione è: «Cosa farà la giovane Imma delle carte che ha ricevuto dalla vita?». Parte così, con una citazione di Amos Oz messa ad epigrafe di questo bel romanzo di riscatto al femminile, l’ultimo libro di Margherita Oggero, forse il suo più importante e intenso dopo che la scrittrice si è lasciata alle spalle la professoressa Baudino con le sue più leggere e ironiche avventure tra scuola e commissariato. La lingua è pulita, chiara, delicata e incisiva sino a divenire coinvolgente. La costruzione narrativa, come già in Risveglio a Parigi, avviene per incastri delle storie di famiglia, delle diverse generazione, dei differenti luoghi, in una sorta di effetto di attualizzazione temporale che riporta nel presente tutto il passato, montando e smontando una vicenda che si rivela via via, sino al finale a sorpresa, forte e netta pur essendo, ci pare, necessaria, ovvero coerente con la figura della sua protagonista, insofferente, amante della vita, desiderosa di giustizia e libertà. Immacolata, detta Imma, vive prigioniera, perché evidentemente in grave pericolo, ricercata, nascosta a Milano a casa della «zia scaduta» che «non è buona e neppure cattiva, più che tutto è scontenta», per una vita di lavoro di poche soddisfazioni e per il rapporto con

un uomo sposato che la vede solo nei week end, oltre a quello andato a male con un marito insegnante di matematica di carattere debole e prigioniero di una materna sorella padrona. Una vita chiusa, fatta di persiane abbassate, come in casa non ci fosse nessuno, di luce artificiale, di attesa di quella «ora di pietra» in cui, per un attimo, tutto pare fermarsi. Non passano macchine, non si vedono persone, non c’è un rumore, magari solo per un momento, in cui però ci si sente liberi e si sogna la vita che potrebbe esserci fuori. Una vita ben diversa da quella del suo paese vicino Napoli, solare, di nonni, genitori, passeggiate in campagna, tra ragazzi e ragazze della sua età, ma anche soffocante, perché regolata dalle leggi della camorra, o meglio della famiglia locale di Don Raffaele che tutto controlla e su tutto e tutti spadroneggia, in assoluta impunità. Imma ha trasgredito a quelle regole, si è ribellata alla cappa di passività e inerzia cui tutti sono costretti, e ora paga, perché c’é chi la cerca ovunque e se la trova la punirà in maniera esemplare, in modo che non salti in mente a nessun’altro di prenderla a esempio. Come spesso è accaduto, è proprio in prigione che certe persone maturano, scoprono, nel vuoto delle ore che non passano mai, la forza e la compagnia che dà la lettura. Imma, che è giovane e mal sopporta la costrizione, quando la zia non c’e, indossa una felpa con un cappuccio e fa qualche sortita, specie dopo che la prima volta ha incontrato Paolo, che vende su un banchetto al mercato libri usati. Dal Diario di Anna Frank, a Io non ho paura o Fahrenheit 451, che Paolo le consiglia come intuisse la sua condizione: «Ci sono cose che conosco bene - riflette Imma - l’ingiustizia, la violenza, la prigionia. Se non mi fosse capitata la disgrazia non li avrei letti, o forse sì, ma senza starci troppo a pensare su. E oggi i pensieri che mi vengono sono proprio strani, o meglio confusi, perché nel male ci vedo anche un po’ di bene».

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MARGHERITA OGGERO, L’ora di pietra Mondadori, Milano 2011, pp. 270, 18, 50 euro

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