
Donare senza pretendere né sperare di avere niente in cambio. Con il solo scopo di regalare un sorriso, di accendere una luce nel buio in cui la vita, talvolta, ci può far sprofondare. È quanto fa, con un gesto di generosità totalmente disinteressata - e scegliendo un dono decisamente inusuale (sei grandi statue bianche di animali selvatici rinvenute quasi per caso nel capanno tenuto nascosto dal padre) - il protagonista del romanzo di Stefano Bernazzani, un elettricista di poche aspettative che, lasciato su due piedi dalla moglie (le cui ambizioni di “bella vita” egli non aveva mai neppure intuito al pari dei tradimenti) - si imbatte per caso in una donna prostrata da una grave perdita e decide di provare ad alleviarle (nell’anonimato) il dolore riempiendole, notte dopo notte e senza mai mostrarsi, il giardino di statue. Tutto ciò suscitando inevitabilmente la curiosità dei paesani prima e dei media poi (da quelli locali alle televisioni nazionali), fino a diventare suo malgrado oggetto di dileggio e pubblica riprovazione per non essere stato al gioco del “circo mediatico”.
Fa eccezione la persona che di quelle statue - mezzo secolo prima - era stata parimenti destinataria grazie alla generosità di un altro anonimo donatore, del quale si scoprirà poi il nesso con l’attuale, e che grazie alla pubblicità televisiva del caso ha l’occasione di rivedere quei meravigliosi manufatti artistici che - così come erano “arrivati” dal nulla - improvvisamente erano spariti dal suo giardino.
Il disvelamente del nome del cosiddetto “uomo delle statue” a opera di un giornalista imbeccato da un amico del protagonista se da un lato consente alla precedente destinataria delle stesse di capire finalmente chi fosse l’ignoto donatore - mettendola sulle tracce del “nostro” elettricista - dall’altro fa compiere una virata alla narrazione, che si rinchiude nella casa di questi, dove si svolge la lunga conversazione fra i due. La storia qui si fa memoria, in particolare dei duri e dolenti anni della guerra sulle montagne piemontesi, ma lascia per strada - pur conservando una buona qualità stilistica e descrittiva - un po’ di quella magia che tanto aveva coinvolto i lettori nella prima metà del romanzo. Troppi dettagli esplicitati, troppi ricordi documentati e snocciolati, al punto da far perdere quel senso di non detto e di “vuoto” - di tempo e di spazio - che faceva il valore della prima parte del libro. Peccato, perché lo scarto si sente e il romanzo lascia l’impressione di un’amalgama di pezzi pregiati ma non perfettamente assemblati.
Stefano Bernazzani - L’uomo delle statue - Italic Pequod, Ancona 2016, pp. 230, 18 euro
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