L’ironico “noir” di Barbujani su San Luca

C’è un cadavere da riesumare custodito da vari serpenti, ci sono esami sul Dna, ci sono indagini che spaziano dal Medio Oriente a Padova, tra colonnelli corrotti e testimonianze ambigue, senza contare un Terribile anatomopatologo: insomma, ci sono tutti gli ingredienti di un bel romanzo noir. Eppure proprio così non è. Gli ingredienti sono quelli e la capacità narrativa e di costruzione del racconto di Guido Barbujani è ottima e indiscutibile, del resto è autore anche di tre o quattro veri romanzi sempre con un lato noir e sfondi storici dal fascismo al dopoguerra e l’Argentina dei desaparecidos. Questa volta però l’insigne genetista di fama internazionale e docente all’Università di Ferrara, ci propone il resoconto vero e proprio di una ricerca storico-genetica anche abbastanza particolare: cercar di capire se le reliquie, conservate a Padova in un antico sarcofago di piombo da oltre 800 anni, possano, almeno ipoteticamente, essere o meno quelle di San Luca evangelista, morto a Tebe in età avanzata intorno al 150 d.C. come vuole la tradizione.Per cercar di capire da dove quei resti provengano, si tratta di confrontarne il Dna (trovato macinando un dente e una radice di dente dello scheletro) con quello di turchi, greci e siriani. per i primi due ceppi non c’è problema, per il terzo il discorso è diverso. Il racconto inizia così tra Aleppo e Palmira, riferendo, con una buona dose di ironia, un viaggio un pò di studio e un pò turistico in Siria nel 1999 accompagnato dall’amico Luca, per procurarsi clandestinamente un centinaio di campioni di Dna locali, cosa possibile grazie alla collaborazione interessata di un colonnello dell’esercito, proprietario di un laboratorio di analisi appunto ad Aleppo, e di un otorinolaringoiatra caldeo che aveva fatto i suoi studi di medicina a Padova. La situazione è avventurosa e paradossale e Barbujani ce la racconta senza farci perdere nulla di quanto vi vede e ha di comico, sentendosi «praticamente in missione per conto di Dio, dunque, come John Belushi nei Blues Brothers». A voler cercar di sapere il possibile e il probabile, anche se per primo convinto che nulla di certo ne sarebbe uscito, è il vescovo di Padova Francesco Mattiazzo, che affida al professor Vito Terribile la costituzione di equipe in cui entrano Barnbujani, un’antropologa, un archeologo, un numismatico, un fisico e così via, compreso un palinologo per identificare i pollini presenti nella cassa e sui resti e la loro provenienza. Con grande rispetto, ma con l’occhio del laico e la razionalità dello scienziato, Barbujani mette sempre un velo di sorridente ironia nel modo in cui ci introduce a questa indagine, raccontandoci per esempio la storia delle reliquie e dei corpi degli evangelisti e non solo: «La moltiplicazione dei santi tramite dispersione delle reliquie inizia nell’Alto Medioevo e non sembra incidesse sulla capacità dei santi stessi di operare miracoli», tanto che ne nascerà un lucroso commercio. Non dimentica mai, infatti, il contesto storico e culturale, così che racconta spesso divagando, anche sul proprio periodo di studi in America e le rivalità tra grandi accademici, o approfondendo, citando fonti e bibliografia, spiegandoci cosa sia la genetica e come si fa un’analisi del Dna e così via, con spirito sempre narrativo e leggerezza e passione per un gioco intellettuale coinvolgente in cui cultura scientifica e umanistica si confrontano continuamente.

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Guido Barbujani, Lascia stare i santi, Einaudi, Torino 2014, pp. 174, 16,50 euro

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