L’invettiva di Revel sull’“inutile” filosofia

Nonostante il filosofo francese Jean Francois Revel con il suo consueto acume abbia scritto questo libro nel 1957 un anno prima di Pour l’Italie, l’argomentare qua risulta più attuale di quanto non lo siano le tesi esposte in quello scritto stendhaliano. Al centro non c’è più la perenne utopia degli italiani. Qui il bersaglio è la filosofia contemporanea, monopolio assoluto dei circoli universitari. L’autore lancia strali contro l’accademismo e il conformismo di una disciplina che non esiste in sè. Esiste tra gli scrittori come Dostoevskij, tra i letterati come Sartre, oppure tra i medici come Freud. Revel critica ferocemente Bergson e Heidegger, svelandone perfino la banalità di alcune affermazioni; e passa in rassegna l’inconsistenza di psicologia, sociologia, epistemologia e storia della filosofia. Nella prefazione, Garin trascura che la “pars costruens” manca perchè non necessaria nell’architettura. D’altronde l’aveva già detto un genio poliedrico come Leon Battista Alberti nel suo Momus, tra queste pagine deliziosamente citato.

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Jean Francois Revel, A che servono i filosofi?Pgreco editore, Milano 2015, pp. 144, 12 euro

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