L’infanzia di Manuel, un vuoto incolmabile

Manuel vive in un villaggio a San’Elena, un villaggio a circa 200 chilometri da Santiago del Cile. Un giorno un suo compaesano, preda dei fumi dell’alcool, gli rivela il motivo per cui sua madre è morta: è stata ammazzata dal nonno. Perché? E come? La prima domanda rimane (e rimarrà per sempre) senza risposta, mentre la seconda è quasi banale: con un calcio in testa. Comincia così la storia vera, romanzata solo nella forma, scritta dal giornalista Marcello Foa con Manuel Antonio Bragonzi. È lui Il bambino invisibile che decide di scappare dalla casa di famiglia, umile sì ma pur sempre sicura e accogliente, per restare da solo. Non prende una corriera per la grande città, Manuel. Non cerca nemmeno conforto a casa di qualche amico di scuola. Scappa nei boschi, e lì ci rimane per tre lunghi anni, finché non viene “catturato”” dai servizi sociali, affidato alle cure di un orfanotrofio gestito dai salesiani e rimesso in sesto nel corpo e nello spirito. Sono anni duri, per il Cile, quelli della guerra civile e della dittatura. C’è fame e misera ma Manuel è fortunato, a suo modo. Viene adottato da una famiglia milanese ancora abbastanza piccolo, a metà degli anni Ottanta: è difficile, all’inizio, ma Manuel ce la vuole fare, si costruisce una vita nuova, gli amori, gli studi a Brera, un lavoro. E il passato? Dimenticato, cancellato per sempre. Oggi Manuel non sa nemmeno più se la persona che chiamava nonno lo era davvero, non sa che cosa sia successo davvero a sua madre né chi sia suo padre e se sia ancora vivo. Ha deciso di non guardarsi mai indietro, pensa al futuro. E in Cile non vuole tornare.

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MARCELLO FOA, MANUEL A. BRAGONZI, Il bambino invisibile, Piemme, Milano 2012, pp. 277, 16,50 euro

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