Giovedì 06 Settembre 2012
Le vite di Baroncelli, nel nome del padre
Ogni vita, si dice, racchiude un segreto e spesso sono quelle più semplici e banali ha farci la rivelazione più importante. Baroncelli questo lo crede fermamente e da anni lavora sull’idea della biografia, del raccontino biografico come fotografia che in trasparenza possa arrivare a farci intravedere un qualcosa di più esistenziale, al di là dei dati. Questa volta lo fa su 237 vite “quasi perfette”, ed e è proprio in quella nota dissonante al concerto armonico generale che si apre la crepa attraverso cui riuscire a guardare oltre.«Il solo stato di perfezione alla portata di un mortale è la morte», afferma Baroncelli in una nota introduttiva al volume mandato in stampa da Sellerio, aggiungendo che «se qualche mancanza circostanziale ho interpolato nell’una o nell’altra di queste vite... è appena per giustificare questo libro, o almeno il suo sottotitolo». Baroncelli, classe 1944, ex professore di materie le
tterarie, vive a Ravenna e ha scritto, oltre ad alcuni saggi sul cinema, altre opere composte di “marginalità” biografiche recuperate dalla letteratura, dando loro nuova vita e altro senso, come Outfolio - Storiette scivolate dal quaderno durante un traslocò, Libro di candele - 267 vite in due o tre pose e Mosche d’inverno - 271 morti in due o tre pose. Ecco quindi vite raccontate generalmente in breve, ma palpitanti, specie quando sono affrontate attraverso un episodio apparentemente insignificante, eppure assolutamente rivelatore, o un’invenzione-notazione dell’autore che, come ogni piccolo particolare, se si riesce a coglierlo nel fondo, riverbera sul resto il suo senso. Divisi in sezioni che vanno da L’infamia e la gloria a Chi è?, scrittori soprattutto, da Guido Morselli a De Sade, musicisti da Georges Bizet a Chet Baker, pittori da Paul Cezannne a Piet Mondrian, artisti e uomini riusciti o falliti, ma anche l’imperatore Germanico o Margaretha Zelle nota come Mata Hari, sino a L’uomo più dimenticato del mondo (che «stava per dire che se ne andava all’improvviso senza avvisare nessuno, ma invece aprì la bocca in un sorriso. Chi mai avrebbe dovuto avvisare?») e Robert Walser, «l’uomo che entra in tutti i miei libri» e vi si insedia, apparendovi più volte, come in questo, con un ricordo, una breve citazione, un episodio, che «fu un genio ma, sorprendentemente, svizzero. Fu un genio dello stare in disparte, ma da qualche parte, a cominciare da questo libro, voglio farlo stare. Sarebbe un intruso dappertutto, meno che in questo capitolo», dedicato a personaggi geniali, soprattutto belgi. Tutto questo passando anche per Mario Baroncelli, «l’uomo che non ho mai conosciuto» e che «fu un portento, lontano trecento metri, o sessant’anni, da dove sto adesso» ricordato più volte e che forse racchiude in queste parole la necessità, la ragione dei libri di suo figlio Eugenio, «autore stufo di questo libro» che, «credendosi finalmente irreale, pensò: “O sono già morto o non sono mai nato”. Voi cosa avreste fatto? Lui si mise a riempire le vite portentose e vuote degli altri uomini». E come nei giochi intellettuali e letterari di personaggi come Borges o Savinio, sedotti del carattere paradossale del tempo, dal dramma comico dell’esistenza quanto del suo immenso mistero fisico e metafisico, mostra negli uomini appunto quell’infelicità, quel fallimento che porta inesorabilmente alla morte, per lo più inusitata, sberleffo e intima tragedia.
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EUGENIO BARONCELLI, Falene - 237 vite quasi perfette, Sellerio, Palermo 2012, pp. 292, 14 euro