Le tre sorelle calciatrici lodigiane che sfidarono il Duce

Un libro racconta la storia di Gina, Marta e Rosetta Boccalini: le pioniere del calcio in rosa e il pallone come battaglia sociale

Alcune storie svaniscono nel tempo, altre invece compiono un lungo giro e riappaiono nella loro bellezza. Il recente successo del calcio femminile ha radici che raccontano del solido legame delle donne con questo sport, considerato per protervia solo maschile. E furono proprio alcuni uomini a ritardarne lo sviluppo e l’ascesa.

In epoca fascista si costituì a Milano, e prima squadra in Italia, il Gruppo Femminile di Calcio (Gfc). Le sorelle Boccalini di Lodi, Gina (1906-1968), Marta (1911-2008) e Rosetta (1916-1991), sostenute a bordo campo da Giovanna (1901-1991) e Teresa (1903-1974), ne furono il cuore pulsante. «Amo moltissimo il giuoco del calcio, un amore tenace il mio, non un fuoco di paglia. Le mie compagne hanno tanta passione e buona volontà: non tramonteremo mai», dichiara l’attaccante Rosetta al settimanale “Il Calcio Illustrato” nel 1933.

Quasi 90 anni dopo, grazie alle ricerche dello storico milanese Marco Giani, membro della Società italiana storia dello sport, supportato dalla professoressa Alice Vergnaghi, insegnante di italiano al liceo artistico Callisto Piazza di Lodi e biografa di Giovanna Boccalini (partigiana e politica comunista), la storia di quelle pioniere del pallone si è trasformata in un romanzo. Scritto dalla giornalista del “Corriere della Sera” Federica Seneghini ed edito da Solferino, l’appassionante “Giovinette” è uscito a luglio nelle librerie. Il calcio d’inizio della partita è la riscoperta del dattiloscritto “Ricordando…”, redatto in 25 pagine da un’anziana Marta negli anni ’90, dal quale emerge la ricostruzione della vita della famiglia Boccalini. Francesco Boccalini e Antonietta Salvarani sono una coppia di genitori socialisti che lavora per mantenere i 7 figli (ci sono anche i maschi Mario e Umberto) e, aiutata dallo scultore Ettore Archinti, trasmette loro l’importanza dello studio. Lodi è molto di più della città di nascita delle calciatrici, è il luogo della loro crescita e formazione di adolescenti. La narrazione dell’infanzia da parte di Marta descrive i “piccoli e poveri giochi” come i “corallini” tenuti in ”un vasetto Liebig” e l’abitazione in via Cavour (civico 25 e attuale 55). La “grande cucina al primo piano”, una casa di ringhiera con un solo rubinetto per altre quattro famiglie; in sala c’era un “lungo tavolo” dove i genitori stavano con tutti i figli; al secondo piano, due camere da letto, “enormi perché ci ospitavano tutti”. E prosegue con le divertenti, anche se un po’ pericolose, gite all’Adda. «A mio padre dissero un giorno che sua figlia Gina aveva salvato da annegamento un ragazzo di 12 anni abitante in via Cavour, di nome Peter. Era vero, ma mia sorella non disse niente a nessuno e il Comune che voleva premiare la ragazza non riuscì a trovare l’artefice della grande impresa. Mia sorella tacque perché temeva la sgridata della mamma per essere tornata nel fiume mentre lei si avviava a casa coi più piccoli…». Il trasloco della famiglia nel 1927 a Milano muta le prospettive e Marta rivive l’impressione che faceva la grande città dall’appartamento al 4° piano in piazzale Dateo 5: «Verso il cortile avevamo una finestra ed un balcone e verso strada un balcone e tre finestre. La vista era bellissima specie per noi che si veniva dalla provincia senza mai una veduta sulla strada sottostante». Però la nostalgia è tanta, «sentimmo subito che ci mancavano la palestra comunale e il fiume Adda». Ributtarsi a capofitto nello sport è naturale. Giovanna scala il Cimon della Pala ed è appassionata tifosa dell’Ambrosiana-Inter guidata dal futuro campione del mondo Peppino Meazza. Gina (che sapeva anche sciare), Marta e Rosetta (poi campione d’Italia nel basket) s’iscrivono al Gruppo Femminile Calcistico, un atto rivoluzionario per l’epoca e che testimonia la loro indipendenza dagli uomini. In occasione della seconda e ultima partita pubblica del Gfc, la mattina del 9 luglio 1933 sul campo di via Melchiorre Gioia (la prima si disputa l’11 giugno su quello di via Monterosa), alcuni calciatori dell’Ambrosiana-Inter e dello Sparta Praga, prima della gara di Coppa Europa Centrale all’Arena Civica, vanno a vedere le ragazze giocare. «Alla fine del match - ricorda Marta - il capitano dello Sparta venne a complimentarsi con mia sorella Rosetta e l’invitò a presenziare alla partita che si sarebbe svolta nel pomeriggio con la squadra dell’Ambrosiana. E lei entusiasta accettò ed andò con altre compagne di calcio». Il fascismo però costringe le calciatrici ad appendere le scarpette al chiodo. Se il presidente del Coni Leandro Arpinati aveva autorizzato “l’esperimento” del calcio femminile (“pur riconoscendo che la sua diffusione non è opportuna e ogni attività doveva svolgersi in privato, cioè su campi cintati e senza l’ammissione di pubblico”, scriveva la Gazzetta dello Sport), il successore Achille Starace ne ordina la fine. «Il terrore di medici e gerarchi era che il calcio potesse compromettere la fertilità delle giocatrici», spiega Seneghini. Le uniche donne-atlete dovevano gareggiare nelle discipline olimpiche che potevano dare lustro internazionale all’Italia. Le Boccalini sono tra le ultime calciatrici ad abbandonare il campo. Nel dicembre 1933 ancora si allenano e così scrive l’inviato del periodico Amica: “Alle istruzioni del trainer si uniscono già quelle della capitana (Gina, ndr), la quale giuoca da terzino ed ha in squadra due sorelle (Marta e Rosetta, ndr). Due altre sorelle sposate, con bimbi (Teresa e Giovanna, ndr), confessano che giocherebbero ancora tanto volontieri se non fosse per un riguardo alla loro condizione (una, oltre che mamma, è maestra), ma quando d’estate sono in montagna, in piena libertà... Più calciatrici di così!». Bisognerà attendere il 1968 per vedere il primo campionato ufficioso di calcio femminile, il 1986 per quello ufficiale istituito dalla federazione, e il 2019 per la Nazionale italiana riconosciuta e applaudita da tutti al Mondiale in Francia. La vittoria di una lunga partita per la libertà, iniziata quasi 90 anni fa dalle lodigiane sorelle Boccalini.

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