Le donne di Ada: amori e dolori di vite ai margini

«Mette a posto tante cose, fra due, il silenzio, nei casi difficili. L’unica parola necessaria non la sa dire che il silenzio». C’è tutta l’amarezza (e l’esperienza personale) delle fatiche insite nel vissuto coniugale in questa frase di Ada Negri. Parole tratte dalla novella L’indirizzo e il cui secondo “distico” è posto in testa all’introduzione della raccolta che Antonia Arslan e Anna Folli hanno curato per i tipi di Biblos, adunando nove prose brevi che la poetessa e scrittrice lodigiana diede alle stampe fra il 1917 e il 1932 in quattro diverse antologie. E si intitola proprio “Il racconto del silenzio” - a rimarcare la componente del non detto - la prefazione che la studiosa e narratrice di origine armena (suoi il premiatissimo La masseria delle allodole e lo splendido Libro di Mush) ha stilato, puntando il dito sulla peculiarità delle figure femminili abbozzate da Ada Negri nelle short stories (forse il meglio della sua produzione) qui riunite. Donne provate dalle esperienze della vita, donne fallite o vissute sempre ai margini in una società, come quella del Ventennio, declinata tutta al maschile, e donne che hanno sempre tollerato, avvolte in un velo di silenzio stoico ed eroico, la loro condizione di infelicità. Donne con le quali l’autrice di Stella mattutina, lei stessa perennemente insodisfatta della vita, stringe un rapporto di partecipata e d

olente complicità. Quella stessa empatia mista a pietas che qua e là Dinìn sa però riservare anche agli uomini, specie quando anch’essi siano spezzati, quali giunchi al vento, dalle sferzate della vita com’è il caso del maturo marito abbandonato dalla progatonista de L’indirizzo, che dopo anni di solitudine coatta accoglie sommessamente e senza troppo domandare il ritorno a casa, della moglie, vittima di un banale incidente stradale, «perché entrambi sapevano che un solo gradino della scala di vita li separava ormai dalla vecchiezza - e accettarla in solitudine non si può». Una chiusura amara, come amara è la chiusura delle due novelle più intense della raccolta: Un rimorso e Il sogno. La prima, estratta da Le solitarie (1917), la cui protagonista è una 40enne che si porta addosso, come una camicia di forza, il senso di colpa per avere avuto un figlio da un amante occasionale e che la costrizione a «mentire vivendo» la porta a una depressione senza ritorno. La seconda, contenuta in Di giorno in giorno (1932), nella quale una donna non più giovane e con un matriminio fallito alle spalle si trova a sognare un passato diverso (con la felicità che assume i connotati della bambina mai avuta), salvo poi ridestarsi e vedere riflesso nello specchio il volto invecchiato di «un’estranea, coi capelli disfatti, col viso solcato, l’opacità d’espressione di chi non aspetta più nulla» e tornare così alla sua condizione di muta solitudine, «come fosse già morta e Dio l’avesse accolta nella sua misericordia». C’è ben poco di lieve e rassicurante in queste prose, dove prevalgono la componente emotiva e dolente del vivere e in cui indubbiamente gli influssi decadenti e di certa letteratura al femminile (forte è l’ascendente di Neera) si fanno sentire, ma la qualità letteraria della scrittura - per stile, ritmo, costruzione della frase e ricchezza lessicale - le elevano ben al di sopra della media, regalando anche al lettore del terzo millennio un’esperienza irripetibile.

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Ada Negri, La cacciatora e altri racconti, a cura di A. Arslan e A. Folli, Biblos, Padova 2013, pp.107, 15 euro

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