L’“apocalisse” generazionale di Aldo Nove

«Ho ammazzato i miei genitori perché leggevano un libriccino assurdo, Woobinda di Aldo Nove». Comincia così, presentandosi esplicitamente come un sequel del romanzo che ha segnato una generazione, l’ultimo lavoro di Aldo Nove. Sono passati esattamente vent’anni dal successo di Woobinda, forse il più importante caso editoriale degli anni Novanta, il testo dal quale si è partiti per poi scandalizzarsi (e infine elogiare) i cosiddetti scrittori “cannibali”. Aldo Nove, Niccolò Ammaniti, e molti altri. Sembra passato più di un secolo da quel loro stile che destava scalpore, che scuoteva la prosa paludata degli anni Ottanta, che citava David Foster Wallace. Era atteso con grande apprensione, questo sequel scritto da Nove: il fatto poi che l’autore sia salito a bordo de La Nave di Teseo, la nuova creatura letteraria di Elisabetta Sgarbi all’indomani della sua uscita da Bompiani, ha alimentato ulteriormente le aspettative. In questo suo lavoro, Aldo Nove ripropone la violenza, l’apatia, la crudeltà cinica dei suoi tempi: sì, anche Woobinda lo faceva – basti a tutti ricordare che i mini-racconti su cui era intessuto il romanzo erano di una crudezza esasperante –, ma regalando di tanto in tanto qualche occasione per sorridere, qualche happy end, qualche personaggio ironico. Anteprima mondiale è invece un libro disperato, nel quale lo scrittore si esprime in modo cupo, con i toni dell’horror applicati al quotidiano. Torna lo stile di racconti (quasi delle polaroid) ma più aggressivo: se in Woobinda i protagonisti erano figli della sbornia del consumismo anni Ottanta (ed è emblematico il protagonista del primo racconto che uccide i genitori perché comprano il bagnoschiuma sbagliato), oggi quel passato è ancora presente, anzi si è persino involgarito e intristito, come capita per certe vecchie commedie. L’esempio? Uno dei personaggi che si è sentito felice l’11 settembre perché pensa che anche la sua vita possa finire presto. Si leggono le pagine, una dopo l’altra e ci si domanda se tra l’autore e i personaggi coinvolti ci sia quella sana distanza che prevede l’ironia: «Ho scelto Anteprima Mondiale perché è un titolo roboante quanto vacuo» ha scritto Nove su «La Stampa» presentando il suo nuovo lavoro. Una frase indicativa per capire che nel sequel del romanzo cui deve la sua fortuna letteraria l’autore non si chiama mai fuori. La sua scrittura non deriva più da un sicuro e ben protetto punto di osservazione sul mondo, non è più uno strumento di critica sferzante e sarcastica sulla società che lo circonda: l’autore si fonde con i suoi personaggi, diventa anche lui parte dell’horror quotidiano. Suoi sono i commenti sulle pubblicità di George Clooney, sul loden di Mario Monti, sulle giornate di Expo, persino sulle notizie che arrivano dal fronte mediorientale. Che cosa è rimasto dell’istinto “cannibale”, della prosa capace di farci indignare con un ghigno? Assai poco. Nelle quasi duecento pagine di questo suo ultimo lavoro, Nove sembra lavorare solo con la forza della disperazione, nel difficile tentativo di farci aprire gli occhi per capire dove siamo arrivati, dove rischiamo di finire. Assorbiti dai social network, addomesticati dalla satira facile della tv e di Facebook, vittime di dinamiche geopolitiche che ignoriamo, pariamo tutti dei burattini insulsi come la coppia vestita di bianco che compare sulla copertina del romanzo. Sullo sfondo, il pianeta terra a ferro e fuoco, la nostra epoca in ritirata.

Aldo Nove Anteprima mondialeLa Nave di Teseo, Milano 2016, 190 pp, 18 euro

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